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Non dite a Casaleggio che Di Maio vuole il partito a Cinque Stelle

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Cinque punti programmatici per fare del Movimento Cinque Stelle un vero partito. Luigi Di Maio loda su Facebook il programma del sociologo De Masi, poi lancia il suo. Territorio, alleanze (col Pd), Ue. Neanche un accenno a Rousseau e alla democrazia diretta di Davide Casaleggio

Rousseau, adieu. Solo due settimane fa Davide Casaleggio aveva lanciato un ultimatum a Luigi Di Maio: se il Movimento Cinque Stelle vuole diventare un partito, lo farà senza di noi. Oggi, dalla sua bacheca Facebook, il ministro degli Esteri gli dà un implicito benservito.

Con un post rilancia il documento programmatico sul futuro del Movimento stilato dal sociologo Domenico De Masi. Trecento pagine su tutto, ambiente, politica estera, tecnologia, politica, alleanze. Un vademecum per la fase 3.0, del Movimento che veste una volta per tutte le spoglie della forza di governo.

Un corposo volume di linee guida che mal si sposa con la visione di un Movimento tutto digitale e improntato sulla democrazia diretta degli iscritti che trova in Casaleggio jr il suo più convinto alfiere. Tanto che in un’intervista a Formiche.net il giorno della pubblicazione De Masi ha bocciato Rousseau sussurrando a Di Maio e Vito Crimi: “Puntate a una piattaforma indipendente”.

Di Maio ne tesse le lodi, poi rincara la dose con cinque punti programmatici di sua mano.

Il primo tocca un nervo scoperto del Movimento. Il ministro auspica infatti la nascita di “un organo collegiale al posto del capo politico per garantire decisioni veloci e partecipate”. L’idea è dunque chiudere l’era dell’uomo solo al comando venendo incontro al fronte di richieste trasversali fra i pentastellati di una maggiore collegialità.

Segue il “finanziamento diretto agli attivisti per supportarli nelle attività sui territori e nell’assistenza ai nostri eletti negli Enti Locali”. Poi le “alleanze programmatiche per avere nuovi sindaci e presidenti di Regione M5S, così come ci hanno chiesto gli iscritti nella votazione di questo agosto (dopo 11 anni governiamo 45 Comuni su 8000 e zero Regioni su 20. È ora di cominciare a correre, possiamo fare molto di più)”. E ancora sui territori: “Un’organizzazione capillare a livello provinciale e regionale con referenti legittimati, con chiare competenze”.

Neanche un cenno alle votazioni online, alla democrazia diretta, a Rousseau. Eccolo, il Movimento che diventa partito, e si prepara a fare quel che un partito fa. Mettere i piedi a terra, sui territori. Concordare “decisioni veloci e partecipate”, offline. Discutere, senza ricorrere all’eterno plebiscito del web, di “alleanze programmatiche” locali (col Pd) per contare qualcosa fuori dal Parlamento.

Last but not least, l’Europa. Di Maio è perentorio: bisogna “collocare chiaramente il MoVimento in una famiglia europea, per poter essere più incisivi nelle decisioni che riguardano la nostra Nazione e il nostro continente”. L’ex capo conferma che la collocazione politica a Bruxelles è una priorità assoluta. Un annuncio che rende un po’ più plausibili quelle voci di una possibile, imminente apertura al Ppe alla ricerca di un nuovo approdo.

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