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Da Pechino un piano per il futuro. L’analisi di Valori

Con il 14° piano quinquennale la Cina definisce i suoi prossimi obiettivi strategici. un progetto lungimirante che può riguardare anche l’Italia. L’analisi di Giancarlo Elia Valori

Il 26 ottobre si è aperta a Pechino la quinta sessione plenaria del 19° Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, con l’ambizioso obiettivo di definire, dopo mesi di preparazione e in quattro giorni di dibattito a porte chiuse, le linee strategiche del 14° piano quinquennale del Paese, uscito – a differenza del resto del mondo – praticamente indenne dalla pandemia di Covid 19.

Il piano, destinato a coprire il quinquennio 2021-2025 ha il titolo, denso di significati, “Visione 2035”, un titolo volto a sottolineare il suo potenziale impatto a medio termine sull’economia della Cina e sulle sue relazioni internazionali. L’agenzia economica americana Bloomberg ha definito il piano uno “Warning Shot”, un “colpo di avvertimento quinquennale agli Stati Uniti”.

In realtà, come vedremo, “Visione 2035” mira, come ha sottolineato il presidente cinese Xi Jinping, a fare della Cina un “Paese moderatamente prospero” e a ridefinire le sue relazioni economiche (e quindi geopolitiche) a livello globale.

Prima di esaminare le grandi linee, così come preannunciate nei mesi scorsi dai media cinesi, del 14° piano quinquennale, occorre sottolineare che la leadership cinese del III millennio è profondamente diversa da quella maoista. Ai tempi del “Grande Timoniere” i piani quinquennali venivano dettati dall’ideologia più integrale e spesso facevano danni irreparabili all’economia e alla società cinesi.

Nel 1958 il secondo piano quinquennale, definito da Mao Zedong “Il Grande Balzo in Avanti”, tentò di trasformare l’impianto economico e produttivo cinese da rurale a industriale con un tentativo di gigantesca riconversione forzata che voleva trasformare per decreto i contadini in operai e i campi coltivati in industrie manifatturiere.

Il tentativo fallì miseramente e la carestia che ne seguì per l’abbandono delle campagne causò oltre 20 milioni di morti.

La Cina post maoista ha fatto tesoro degli errori del passato e dal credo ideologico, rigido e ottuso, si è passati al pragmatismo scientifico, con il risultato che oggi la Cina si avvia a conquistare la leadership dell’economia mondiale.

L’ultimo piano quinquennale, il 13°, 2016-2020, mirava a “rimpiazzare una crescita sbilanciata, scoordinata e non sostenibile” attraverso misure innovative, coordinate, attente alla tutela dell’ambiente per una crescita inclusiva in grado di fondare una nuova società “moderatamente prosperosa (che resta lo stesso obbiettivo del nuovo piano) sotto tutti gli aspetti”.

L’obiettivo di fondo era di far crescere il Pil fino al 6,5% l’anno, obiettivo che è stato quasi raggiunto nonostante l’epidemia di Covid 19, grazie ai risultati conseguiti nei primi tre anni, periodo nel quale la crescita delle economie occidentali – dagli Stati Uniti alla Germania – si è assestata a livelli tre volte inferiori. Superata la crisi pandemica nello scorso mese di marzo, il Pil cinese del 3°trimestre 2020 ha raggiunto il 4,9% rispetto all’anno precedente e gli economisti, non solo cinesi, sono convinti che sia destinato a una crescita ulteriore entro la fine dell’anno.

Un obiettivo concreto raggiunto è stato quello di ridurre le emissioni di anidride carbonica del 12%, un dato che, secondo la leadership cinese, fa ben sperare che si possa raggiungere il livello di emissioni zero entro il 2030, grazie al totale abbandono dell’uso dei combustibili fossili nella produzione di energia.

La “svolta verde” tanto vagheggiata dalle istituzioni europee, in Cina è stata concretamente avviata, mentre anche sul fronte della lotta alla povertà i risultati sono stati significativi: dai 56 milioni di “poveri assoluti” (persone con un reddito annuo di 335 dollari) censiti nel 2015 si è passati a 5,5 milioni censiti nel 2019. Nello stesso periodo si è affrontata la crisi abitativa con la costruzione di 10 milioni di case popolari che hanno rimpiazzato migliaia di baraccopoli.

È sulla base di questi risultati che il presidente Xi Jinping ha dettato le linee guida del nuovo piano quinquennale sulle quali, in questi giorni, si incentra la discussione del Comitato Centrale del Partito.

Il fulcro centrale del 14° Piano è quello della “dual circulation”, una strategia che mira che a far crescere contemporaneamente la domanda interna e gli investimenti stranieri in beni di consumo e tecnologia, con un approccio “duale” e coordinato di grande impatto potenziale sulle condizioni di vita della popolazione cinese e sulle relazioni internazionali di Pechino.

Gli economisti di Morgan Stanley stimano che il Pil cinese crescerà fino al 2025 del 5,5% l’anno, una stima prudenziale che tuttavia si ritiene sufficiente ad accrescere in modo significativo il reddito della popolazione e la domanda interna, ad attrarre forti investimenti stranieri e a innalzare la capacità dei cinesi di investire all’estero, sia nei mercati finanziari che in quelli industriali e tecnologici.

Secondo Liu Peiqian, un’economista cinese che lavora a Singapore (intervistata da Bloomberg) “in vista del 2025 la politica cinese diventa sempre più orientata sugli obbiettivi a lungo termine, mentre gli investitori possono aspettarsi più continuità e certezze dalla politica economica di Pechino nei prossimi 15 anni”.

L’analista finanziaria Yue Sue dell’Economist, intervistata dalla Cnbc ha dichiarato che “si aspetta che il piano quinquennale si concentrerà fortemente sul sostegno alla tecnologia e sulla sicurezza energetica basata sulla diversificazione delle fonti di energia, piuttosto che affidarsi a un aumento delle importazioni di petrolio, mentre si guarderà con attenzione alla sicurezza alimentare in vista di possibili tensioni nelle relazioni con Paesi esportatori di alimenti (gli Stati Uniti prima di tutti)”.

Le decisioni assunte al termine dei quattro giorni di discussioni sul 14°Piano quinquennale verranno rese pubbliche soltanto nel marzo del prossimo anno, ma gli economisti sono certi che, viste le premesse e la mano ferma e autoritaria di Xi Jinping le anticipazioni finora diffuse dai media di Stato saranno implementate alla lettera.

Quali che saranno le conclusioni definitive, è certo che il “warning shot” di cui ha parlato il Financial Times lanciato agli Stati Uniti condizionerà, forse in modo ulteriormente negativo, le relazioni Usa-Cina nei prossimi anni.

Infatti, nonostante le abissali differenze che esistono in tema di politica interna tra Donald Trump e Joe Biden, ambedue i candidati alle prossime elezioni presidenziali americane, in tema di rapporti con la Cina vanno abbastanza d’accordo, essendo tutti e due orientati a proseguire nella politica del confronto-scontro continuo tra Washington e Pechino.

Per questo è facile prevedere che chiunque vinca la corsa alla Casa Bianca le relazioni sino-americane sul piano politico ed economico non siano destinate a migliorare nel breve e medio periodo.

Il 14° piano quinquennale, visto l’innegabile successo del precedente, segnerà un ulteriore passo in avanti per l’economia cinese e, se non produrrà effetti positivi sulle relazioni con gli Stati Uniti, produrrà effetti positivi sia sul fronte interno che sullo scacchiere globale.

Pechino è uscita in buone condizioni dall’epidemia da coronavirus, i cui effetti, invece, si fanno pesantemente sentire sulle società e le economie dell’occidente. Questa realtà, di fronte alle linee guida dettate dal nuovo piano quinquennale cinese, apre tuttavia una straordinaria “finestra di opportunità” per il comparto produttivo europeo e italiano. La “dual circulation” prevista dal piano apre un’autostrada di opportunità per aziende europee e italiane che vogliano cogliere le opportunità offerte dalla crescita economica cinese e dalle sue crescenti disponibilità finanziarie.

Lavorare in sinergia efficace con partner cinesi non è difficile se si dispone di buoni professionisti, di tecnici e maestranze qualificati e di idee innovative basate su solide basi scientifiche.

Posso fare l’esempio di una realtà che conosco personalmente: la Trafomec, una società italiana fondata nel 1981 da un coraggioso gruppo di ingegneri, che negli anni è diventata leader nel campo della produzione di trasformatori e alternatori di corrente, per uso industriale e domestico, nella fabbricazione di pannelli elettrici per treni e navi e di tecnologia legata allo sviluppo delle energie alternative.

Trafomec, dopo aver costruito i propri impianti produttivi in Italia e Polonia e aver costituito joint venture in India, Polonia e Cina, nel 2016 si è fusa con la consociata cinese Indu-Tek, dando vita a una realtà produttiva con un duplice centro di gravità: in Europa (Italia e Polonia) e in Cina, una realtà che si ulteriormente arricchita grazie alla collaborazione recentemente avviata con la Eldor Corporation, una multinazionale leader nel settore automative e partner delle principali case automobilistiche mondiali, presente in Italia e Cina.

Ho fatto questo esempio a dimostrazione della enorme potenzialità di crescita che attende le aziende italiane che svilupperanno forme di collaborazione con analoghe aziende cinesi o che decideranno, grazie alle opportunità offerte anche dal 14 piano quinquennale, di affacciarsi sull’immenso mercato cinese. Trafomec è cresciuta e crescerà grazie anche all’accettazione di questa sfida, una sfida che – magari con il sostegno intelligente del governo italiano e delle autorità europee – può essere raccolta da altre aziende italiane ed europee, contribuendo, grazie all’apertura di una “nuova Via della Seta”, alla ripresa economica del nostro Paese, prostrato dalla pandemia, in una visione ottimistica del futuro che tiene conto di un dato della storia: dopo la peste del 1300, in Italia è sbocciato il Rinascimento.


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