La notizia sulla rottura dei negoziati sul Recovery Fund è arrivata nella serata di ieri, da Bruxelles. In piena seconda ondata, mentre alcuni Paesi valutano seriamente un nuovo lockdown, i negoziati tra Consiglio Ue e Parlamento comunitario sul bilancio comunitario 2021-2027, a cui è associato il piano Next Generation Eu da 750 miliardi, si sono arenati improvvisamente. Tutta colpa della bocciatura della proposta di mediazione tedesca presentata al Parlamento da Berlino con l’obiettivo di aumentare la taglia del bilancio di 5-10 miliardi di euro per aumentare i budget di ricerca, all’istruzione o all’occupazione. E allora? C’è il rischio di vanificare mesi e mesi di riunioni con cui allestire il più grande piano di aiuti che l’Europa abbia mai allestito in 70 anni di storia? Niente affatto, dice da Londra a Formiche.net Lorenzo Codogno, economista e professore alla London School of Economics, fondatore della società di consulenza LC Macro Advisors ed ex capo-economista al ministero dell’Economia.
NIENTE PANICO, MA…
“Cerchiamo di non farci prendere dal panico, quanto accaduto è parte integrante della negoziazione tra le parti, che comunque riprenderanno il confronto la prossima settimana. Sì è vero, c’è stato uno stop alle trattative ma ora sono sicuro che ci sarà una ripresa dei negoziati”, rassicura Codogno. “Il punto è semmai un altro e cioè i soldi che l’Europa vuole in più per certi programmi, si tratta di un centinaio di milioni, non molto, ma comunque un surplus. E poi ci sono i Paesi frugali, di cui bisogna sempre tener conto per trovare un accordo finale. Questi Paesi, per esempio, hanno accettato il pacchetto di aiuti in cambio di alcuni sconti, ma l’Europa desidera evitare qualsiasi trattamento speciale. E questo è un altro problema.”
Ostacoli in ogni caso aggirabili. Ma forse ce ne è un terzo che è più complicato degli altri. “Il problema di fondo è che la governance europea attuale prevede che l’intero pacchetto Next Generation Eu sia approvato all’unanimità. Questo vuol dire che serve il voto favorevole anche di Polonia e Ungheria, due Stati tendenzialmente autoritari. E qui lo stesso Parlamento vuole legare a tutti i costi la concessione degli aiuti al rispetto dello Stato di diritto. Tutto giusto se non fosse che certi Paesi sono molto ma molto attenti, mi consenta, ai quattrini”.
CORSA CONTRO IL TEMPO
Secondo l’economista e docente ora è cruciale il fattore tempo per evitare la mancata erogazione dei fondi. Per l’Italia sarebbe un grosso guaio, dal momento che il Paese mira a incassare una ventina di miliardi già a inizio 2021. “Dipende dalla lunghezza dei negoziati. Se la cosa si risolve in un paio di mesi, la cosa non cambierà molto, perché i Paesi faranno i loro programmi e nell’attesa inizieranno già a spendere i loro soldi e poi a marzo arriverebbero i primi anticipi del piano di aiuti”. L’altro scenario, spiega Codogno, è quello peggiore.
“Se invece lo slittamento si porta sui sei mesi allora potrebbe essere un problema, si andrebbe molto in là. Onestamente non lo ritengo probabile, le probabilità di chiudere entro ottobre ci sono. Se sarà così, i parlamenti nazionali avranno due mesi di tempo per approvare il piano entro fine anno e questo credo sia interesse di tutti. Altrimenti si andrebbe incontro a delle conseguenze”.
LA SFIDA ITALIANA
Codogno poi allarga il discorso all’Italia e alla sua possibile capacità di redigere un’agenda a prova di Recovery Fund e successivamente governarla. “Onestamente la vedo dura, serve un piano di progetti serio e con tante infrastrutture. Ma nel Paese c’è un problema di capacità di spesa: gli investimenti pubblici toccheranno il 4% del Pil, mi chiedo come possa la Pubblica amministrazione italiana coordinare e gestire questa enorme mole di investimenti. Non è tanto una questione di progetti, non solo almeno, ma di gestione degli stessi. Trovare i progetti non è difficile, il difficile è governarli e attaccarci delle riforme strutturali. Il rischio, insomma, è che si vanifichi il tutto, si vanifichi la crescita e si rimanga solo con un debito più alto”.