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Usa e Ue lanciano il dialogo sulla Cina (e Pechino s’arrabbia)

Usa e Ue inaugurano il dialogo strategico sulla Cina. Che reagisce rabbiosamente accusando Bruxelles e ricordando la Via della Seta. Ma…

Venerdì il segretario di Stato statunitense Mike Pompeo e l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell hanno inaugurato con una telefonata il dialogo strategico sulla Cina tra le due diplomazie (il Servizio europeo per l’azione esterna a Bruxelles e il dipartimento di Stato a Washington). Come si legge nella dichiarazione congiunta, i due “hanno convenuto di proseguire gli incontri a livello di alti funzionari ed esperti su temi quali i diritti umani, la sicurezza e il multilateralismo. Il prossimo incontro ad alto livello tra il vicesegretario di Stato e il segretario generale del Servizio europeo per l’azione esterna si terrà a metà novembre 2020”.

L’ATTESA PER LE ELEZIONI

Annunciato a giugno con il sì di Pompeo alla proposta del’Unione europea, il dialogo, dunque, non partirà prima delle elezioni presidenziali statunitensi del prossimo 3 novembre con il rischio, nel caso di vittoria di Joe Biden, che cada durante il periodo di transizione dall’amministrazione guidata da Donald Trump.

LA REAZIONE DI PECHINO…

CGTN, parte del network della televisione del governo cinese CCTV, ha fatto commentare l’avvio del dialogo tra Bruxelles e Washington all’economista Ken Moak, che l’ha definito “morto sul nascere” sottolineando come la politica estera europea sia di competenza degli Stati membri, non di Bruxelles. Addirittura, secondo Moak, “l’Unione europea probabilmente ha più cose in comune con la Cina che con gli Stati Uniti”: entrambi difendono la globalizzazione, il desiderio di affrontare il cambiamento climatico e altre questioni che gli Stati Uniti evitano. Per esempio, Germania e Francia si sono schierate con la Cina nell’opporsi allo snapback dell’amministrazione Trump per forzare il ritorno delle sanzioni all’Iran”.

… CHE CITA L’ITALIA

Ma l’economista cita anche l’Italia (e l’editoriale è corredato da una foto con gli aiuti cinesi al nostro Paese all’inizio della pandemia — aiuti che, come spiegato da Formiche.net, facevano parte di un’operazione di mask diplomacy alimentata sui social network grazie a un’esercito di bot): “L’Italia e la Croazia”, scrive, “partecipano alla Via della seta cinese; non sarebbe una sorpresa se anche loro respingessero le pressioni di Pompeo per un decoupling dalla Cina”.  E ancora: “Allontanarsi dalla Cina costerebbe ai Paesi i fondi di investimento e il commercio di cui hanno tanto bisogno, in particolare quando né l’Unione europea né gli Stati Uniti sono in grado e disposti a correre in soccorso”, aggiunge probabilmente con riferimento dalla pandemia di coronavirus originata a Wuhan.

ADDIO LUPI SOLITARI?

Moak cita il tour di Pompeo in Italia, Santa Sede, Grecia e Croazia tra fine settembre e inizio ottobre e scrive: “Il suo messaggio anticinese non ha avuto successo”. E cita come esempi il rifiuto di papa Francesco di incontrare il capo della diplomazia statunitense e l’apertura delle relazioni tra Cina e Santa Sede che secondo lui potrebbe avvenire entro fine anno (ipotesi che a Formiche.net risulta, invece, assai remota).

Il suo editoriale (in cui non è citato il tour flop in Europa, in particolare in Italia, del ministro degli Esteri cinese Wang Yi) permette di analizzare due elementi. Il primo: dopo il flop della diplomazia dei “lupi guerrieri” (in scena anche in Italia, come raccontato da Formiche.net) Pechino sembra aver scelto di attaccare soltanto gli Stati Uniti smettendo di minacciare gli Stati europei. Moak scrive: “Se Pompeo chiedesse alla Grecia di ‘divorziare’ dalla Cina, lo Stato ellenico probabilmente lo respingerebbe perché la Cina è un grande investitore in Grecia”. Non una minaccia diretta, al massimo un ricatto — e neppure dei più convincenti a giudicare dalle discussioni ad Atene che dovrebbero portare all’esclusione il colosso cinese Huawei dalla sua rete 5G (senza dimenticare neppure gli sforzi italiani per puntellare il Perimetro di sicurezza cibernetica nazionale).

RAPPORTI TIEPIDI CON BRUXELLES

Il secondo elemento: a giudicare dall’affondo di Moak contro Borrell e l’inesistenza di un politica estera comune (“Borrell chiaramente non parla per la maggior parte degli Stati membri”) Pechino sembra aver messo nel mirino l’Unione europea. In passato ha cavalcato le differenze per promuovere gli investimenti (si pensi al formato 17+1), oggi invece sembra volerle enfatizzare per delusione. Da una parte per la vicinanza tra Unione europea e Stati Uniti (nonostante Trump) su questioni come il 5G e lo screening degli investimenti. Dall’altra viste le difficoltà sull’Accordo sugli investimenti. La scorsa settimana si è tenuto il trentatreesimo round di consultazioni: il tempo stringe e passi avanti sostanziali non sono stati compiuti. Il tutto nonostante la volontà della Germania di Angela Merkel, presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea di firmare durante il suo semestre (che si concluderà il 31 dicembre prossimo). E probabilmente non è passato inosservato a Berlino che al primo incontro del dialogo tra Stati Uniti e Unione europea per Bruxelles parteciperà il segretario generale del Servizio europeo per l’azione esterna, la diplomatica tedesca Helga Schmid. Un segnale chiaro, ancor più chiaro se nel frattempo si dovesse il cosiddetto “periodo di transizione” a Washington.

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