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Corno d’Africa e Sahara: quale ruolo per l’Italia? Parla Marina Sereni

La crisi in Etiopia, gli scontri al confine marocchino con il fronte Polisario. Ecco perché l’instabilità del Corno d’Africa non ha solo ricadute regionali, ma tocca il cuore degli interessi strategici dell’Italia. Intervista con la viceministra degli Esteri del Pd Marina Sereni

Il ruolo dell’Italia, l’attenzione e la preoccupazione di Roma su due dossier critici come la crisi in Etiopia e il Sahara occidentale, con gli scontri nella zona di cuscinetto di Guerguerat tra le unità dell’esercito marocchino e il gruppo Polisario. Formiche.net ne ha parlato con la viceministra degli Esteri Marina Sereni (Pd), secondo cui dialogo, cooperazione e l’abbassamento delle tensioni sono fondamentali per non far cadere la regione nel caos.

Partiamo dal Corno d’Africa: un ambito strategico per l’Italia. Come guarda Roma a quanto sta succedendo?

Siamo chiaramente molto preoccupati per la crisi nel Tigray (regione indipendentista dove le unità armate Tigray People’s Liberation Front, Tplf, si stanno scontrando militarmente con le Forze armate regionali, ndr). La stiamo monitorando con grande attenzione e stiamo seguendo le vicende di alcuni nostri connazionali, che per motivi essenzialmente di lavoro si trovano nell’area. Nei giorni scorsi, il premier Conte ha avuto un colloquio telefonico con il primo ministro Abiy Ahmed per manifestare la nostra preoccupazione e attenzione su quanto sta avvenendo. Il nostro obiettivo è evitare che si verifichi un escalation e fare in modo che si torni rapidamente al dialogo.

In questa crisi si sommano situazioni profonde. L’attacco del 4 novembre del Tpolf si è portato dietro la risposta militare del governo per colpire gli elementi più attivi del fronte di resistenza armata. Nei giorni scorsi inoltre abbiamo visto dal Tigray partire missili contro Asmara, la capitale dell’Eritrea, che ha lo scorso anno ha raggiunto una pace con l’Etiopia dopo anni di sangue. Siamo in un contesto delicatissimo dove la crisi interna etiopica rischia di destabilizzare la regione. È così?

I missili lanciati verso Asmara dimostrano che l’allargamento a livello regionale è un rischio assolutamente concreto. Per altro non possiamo dimenticare che stiamo parlando di un’area profondamente segnata da altre gravi criticità e motivi di instabilità. Penso al Covid, che non ha risparmiato il Corno d’Africa; ma guardo anche ai tanti altri problemi che affliggono la regione, tra cui l’impatto negativo del cambiamento climatico o, più nello specifico, le locuste che la scorsa primavera hanno distrutto più di 200 mila ettari di coltivazioni e causato una crisi alimentare per milioni di etiopi.

Perché è riesplosa lo scontro Addis Abeba-Tplf, al di là del fatto specifico?

La tensione non è di questi giorni, è iniziata con l’attacco da parte dell’Fplt nei confronti di una postazione militare etiope alla quale il governo ha deciso di rispondere militarmente, con l’obiettivo dichiarato di voler ristabilire l’ordine nella regione. Il governo presieduto da Abiy Ahmed ha cercato di superare l’assetto istituzionale fondato sul “federalismo etnico”, e si è impegnato per un programma vasto di riforme, che non sono state pienamente realizzate e questo ha provocato una certa disillusione. Noi crediamo che il governo dell’Etiopia debba essere sostenuto in questo sforzo e che, appena la pandemia lo permetterà, debbano essere indette elezioni. Nell’immediato però, la questione più urgente è impedire che questo scontro armato diventi una vera e propria guerra civile allargandosi a livello regionale. Le Nazioni Unite parlano di una grave crisi umanitaria con migliaia di persone in fuga verso il Sudan.

L’Europa è con l’Italia?

L’Ue si è già occupata in vari passaggi della situazione in Etiopia. Lo scorso mese l’Alto rappresentante Borrell era ad Addis Abeba e domani (oggi) ci sarà una riunione del Consiglio Affari Esteri dell’Ue in cui verrà affrontata questa situazione. L’Italia cercherà di favorire il dialogo, perché l’Etiopia è tassello fondamentale per la stabilità del Corno d’Africa.

Lo stesso interesse lo troviamo nel Sahara e nelle dinamiche che stanno coinvolgendo il Marocco?

Anche in questo contesto, parliamo di una vicenda antica che negli ultimi giorni ha registrato il riaccendersi della violenza, anche se la situazione sembra essere rientrata sotto controllo. La guerra per il Sahara occidentale è durata molti anni, si è conclusa con il cessate il fuoco nel 1991, ma fino ad oggi non abbiamo ancora un assetto definitivo e accettato da entrambe le parti.

Il Fronte Polisario, che combatte da decenni per l’autonomia e l’indipendenza del popolo Saharawi, nei giorni scorsi ha accusato le truppe marocchine di aggressione, “la guerra è iniziata e il Marocco ha liquidato il cessate il fuoco” ha dichiarato in una nota un portavoce del Fronte. Il rischio anche in questo caso riguarda scontri in un’area sensibile. A cosa guarda l’Italia? 

Le Nazioni Unite hanno rinnovato pochi giorni fa il mandato della MINURSO, la missione che ormai da decenni si occupa del Sahara Occidentale. Bisogna spingere le parti perché riprenda il dialogo anche se in questo momento non sembrano esserci le condizioni per un compromesso accettabile per entrambi. Non dimentichiamo che nell’area la comunità internazionale è alle prese con problemi legati ai traffici illegali e al terrorismo di matrice islamista che attraverso l’area Sahara-Sahel si ripercuote sui delicati equilibri nordafricani. Per questo non possiamo permetterci che attorno alla definizione dello status giuridico dei territori del Sahara Occidentale si creino nuove tensioni e rischi di conflitti armati.



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