La giornalista Choi Yuk-ling, che aveva contribuito a un documentario sugli abusi della polizia durante le proteste, è accusata di false dichiarazioni. Intanto gli Stati Uniti preparano nuove sanzioni contro i funzionari cinesi dietro all’attuazione della legge sulla sicurezza nazionale
Ennesima minaccia alla libertà di espressione a Hong Kong. Questa volta l’accusa è contro una giornalista, Choi Yuk-ling, freelance dell’emittente pubblica Radio Television Hong Kong. La donna si è dovuta presentare a un tribunale per rispondere all’accusa di false dichiarazioni mentre cercava informazioni in un database. Choi è stata arrestata a inizio novembre.
Da tempo le autorità dell’isola indagano sul suo coinvolgimento nella produzione di un documentario sul comportamento della polizia di Hong Kong durante le proteste del 2019. Secondo l’agenzia Nova, prima di presentarsi in tribunale, Choi ha dichiarato che il suo caso riguarda direttamente la libertà di stampa a Hong Kong: “C’è stata una presa di coscienza sociale molto forse sul fatto che i giornalisti sono liberi di ottenere informazioni pubbliche per motivi di interesse pubblico. Non vedo nessun motivo per cui il governo debba limitare il flusso di informazioni”.
La giornalista ha denunciato l’uso della legge sulla sicurezza nazionale per reprimere la stampa. I media di Hong Kong avvertono che la nuova normativa di Pechino, che proibisce la secessione, sovversione e collusione con Paesi stranieri per interferire negli affari interni, possa essere strumentalizzata contro i giornalisti critici e non solo. Per la governatrice di Hong Kong, Carrie Lam, il governo non sopprimerà la libertà di stampa, ma i giornalisti devono cercare di rispettare la legge.
L’arresto di Choi segue altri mandati di carattere politico, come i recenti ordini di arresto contro gli attivisti Nathan Law e Sunny Cheung. La decisione è arrivata dopo che i giovani, difensori della democrazia a Hong Kong, non si sono presentati all’udienza prevista il 14 ottobre per la commemorazione (vietata sull’isola) del massacro di Piazza Tienanmen.
Ma non solo. Qualche settimana fa la polizia locale ha fatto irruzione negli uffici privati di Jimmy Lai, magnate dell’editoria e attivista per la democrazia. Mark Simon, dirigente di Next Digital e braccio destro di Lai, aveva scritto su Twitter che “l’obiettivo di questo raid è molestare e trovare un modo per chiudere le attività private del signor Lai. Questo è oltraggioso”.
Lai è stato arrestato ad agosto in base alla nuova legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong. Il magnate è una figura schierata a favore della democrazia a Hong Kong e critica regolarmente il governo cinese. È anche fondatore della società di media Next Digital, che gestisce il quotidiano pro-democrazia Apple Daily ed è stato accusato di incitamento a prendere parte consapevolmente a un’assemblea non autorizzata.
A Hong Kong la situazione della libertà di stampa e di espressione è molto complessa. Pertanto, gli Stati Uniti hanno imposto nuove sanzioni contro funzionari cinesi nell’establishment di governo e sicurezza dell’ex colonia britannica.
Il Dipartimento del Tesoro e il Dipartimento di Stato americani hanno identificato responsabilità nelle misure repressive da parte di Deng Zhonghua, vicedirettore dell’Ufficio per gli affari di Hong Kong e Macao; Edwina Lau, vice commissario di polizia di Hong Kong, e Li Jiangzhou e Li Kwai-wah, funzionari dell’Ufficio di sicurezza nazionale di nuova istituzione a Hong Kong.
Loro avrebbero un ruolo attivo nell’attuazione della legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong, secondo quanto ha dichiarato il segretario di Stato americano, Mike Pompeo: “Queste azioni sottolineano la determinazione degli Stati Uniti a ritenere responsabili figure chiave che stanno attivamente schiacciando le libertà del popolo di Hong Kong e minando l’autonomia della città”. I funzionari sanzionati non potranno viaggiare né potranno compiere attività sul territorio statunitense.
Per il segretario generale di Hong Kong, Matthew Cheung, le nuove sanzioni americane sono inaccettabili: Una palese – e io userei la parola barbara – interferenza. Non ci faremo intimidire”.