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Chi è Tony Blinken, il prossimo segretario di Stato americano

Secondo i media americani, il presidente eletto Biden ha scelto il prossimo segretario di Stato. Sarà Tony Blinken, democratico con esperienza decennale nel mondo della politica estera, noto per le visioni multilaterali e l’approccio robusto sulle questioni di sicurezza

Mentre Donald Trump è ancora impegnato a non riconoscere la sconfitta — operazione che non sta portando frutti — e a conclusione di quella che è stata probabilmente la sua ultima riunione internazionale, il G20, rilancia che “non vedo l’ora di lavorare con la prossima presidenza italiana”, il presidente eletto Joe Biden va avanti con la definizione della squadra amministrativa. Nelle ultime ore è stato fatto filtrare ai media il nome del prossimo segretario di Stato. Si parla di Anthony Blinken, che tutti chiamano Tony.

Il capo della diplomazia nel sistema americano è un attore politico cruciale, e Biden ha scelto non solo un suo intimo, ma una figura che ha nel suo bagaglio grande esperienza — nei due mandati Obama è stato ai vertici del Consiglio di Sicurezza nazionale e del dipartimento di Stato (vice in entrambi gli apparati) — e che ha una visione netta a favore del multilateralismo.

Stando all’ultima esperienza di Blinken – vicesegretario di Stato con incarichi per l’Europa – potrebbe essere proprio quella transatlantica la dimensione da cui ripartire a giocare quella trattoria di politica internazionale che con l’amministrazione Trump era stata sostituita dall’unicameralismo “America First”. Il Financial Times, che quel multilateralismo osserva e apprezza da sempre, l’ha definito l’alter ego di Biden; il New York Times sottolinea nel titolo del pezzo in cui dà la notizia (per primo) che Blinken è un difensore delle “global alliancies“, ossia quel globalismo che era diventato orrore sotto le invettive di Trump e dei suoi pensatori.

Esperto di politica estera – aveva avuto i primi rapporti con Biden quando dirigeva lo staff del senatore ai tempi in cui era presidente della Commissione Relazioni estere –, la sua carriera governativa era iniziata proprio a Foggy Bottom, durante l’amministrazione Clinton. “Ci si aspetta che le sue ampie credenziali in politica estera aiutino a calmare i diplomatici americani e i leader globali dopo quattro anni di strategie dell’amministrazione Trump e di spavalderia nazionalista”, scrive il NyTimes, altro spazio culturale dove la visione allargata multilaterale è sostanzialmente sostenuta.

Secondo il FT non è ancora detto che sia segretario, ma potrebbe anche diventare consigliere per la Sicurezza nazionale – come detto  un’altra tra le expertise pluridecennali di Blinken – e lavorare ancora più a stretto contatto con il presidente. In questo caso, Biden lo avrebbe castamente nella West Wing e seguirebbe comunque tutti i più delicati dossier di esteri, intelligence e difesa. Comparti che, da come visto nei primi briefing, il democratico terrà in massima considerazione – altro punto di rottura con il suo predecessore, che invece considerava quegli apparati una sorta di peso, a tratti ostili.

Forte nella retorica (per Bill Clinton aveva fatto anche da speech-writer), appassionato guitar-hero, è stato definito da Robert Malley, il capo dell’International Crisis Group che era un suo compagno di classe al liceo di Blinken, come il funzionario con il background perfetto per ripristinare la credibilità americana. È questo l’aspetto a cui guardano i think tank quando leggono l’incarico. “È stato al tavolo di tutti gli incontri importanti nell’amministrazione Obama per otto anni e ha una visione unica dell’intera gamma di questioni di sicurezza nazionale”, aggiunge Nick Burns, che aveva collaborato con lui fino ai massimi livelli del dipartimento di Stato e ora insegna alla Harvard Kennedy School (Burns, foreign policy adivser della campagna Biden, è un altro ex funzionario democratico che potrebbe ricoprire ruoli importanti nella prossima amministrazione).

Blinken, 58 anni, ha studiato a Parigi; è figlio di un ex ambasciatore in Ungheria (lo zio invece ha guidato l’ambasciata in Belgio); gode di una grande considerazione tra i collaboratori. Descritto come capace di mettersi sempre al livello del suo team, non malato di ego (condizione non secondaria nel top ranking politico di uno stato), è stato uno dei componenti della “Phoenix Initiative”, un’associazione semi-formale democratica che cercava di promuovere un approccio più robusto alle questioni di Sicurezza nazionale fin da quando John Kerry fu sconfitto da George W. Bush (nel 2004).

Blinken è noto per aver fatto parte di quel gruppo di alti funzionari che sostenevano la necessità dell’azione militare contro il regime assadista dopo l’attacco chimico con cui furono uccise oltre mille persone nell’agosto del 2013. Ai tempi Barack Obama non intervenne, anzi decise di ascoltare la Russia e accettare una mediazione che avrebbe dovuto portare allo smantellamento dell’arsenale chimico siriano. Cosa che in effetti non è mai avvenuta del tutto, tant’è che quando nel 2017 il rais Assad tornò a gassare il suo popolo e Trump ordinò un’azione militare limitata, Blinken lo appoggiò pubblicamente.

Michael McFaul, professore di Stanford, ex ambasciatore in Russia, falco democratico anti-Russia, dice che il prossimo segretario di Stato potrebbe essere “visibilmente più duro” con Mosca e più ricettivo all’idea di “competizione ideologica con la Cina, aumentando di qualche gradino la promozione della democrazia e la dimensione dei diritti umani della politica estera” (Taiwan, Hong Kong, Xinjiang, sono dossier caldi sotto quest’ottica). D’altronde, le visioni di Blinken sulle alleanze internazionali e sulla promozione dei valori democratici si adattano a una visione crescente a Washington secondo cui gli Stati Uniti devono lavorare più strettamente con gli alleati per ottenere maggiore influenza nel contenere l’ascesa di Pechino.

(Foto: Flikr, una foto di Blinken durante un intervento al Cnas)

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