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Italia resiliente (ma non a tutti i costi). Il monito di Confindustria

Prima della pandemia l’Italia era una potenza economica mondiale, a cominciare dalla manifattura. Il lockdown non ha fiaccato gli animi, anzi ha fatto emergere doti di resilienza non comuni. Ma questo non può giustificare un fallimento su 209 miliardi destinati all’Italia. Gli scenari industriali presentati a Viale dell’Astronomia

Duri a morire. Italia Paese di imprenditori che non si rassegnano alla crisi e al buio perenne. E così non può stupire un dato: prima della pandemia l’Italia si confermava settima potenza manifatturiera mondiale. All’alba del Covid, nella classifica 2019 dei principali produttori manifatturieri, l’Italia, con una quota del 2,2%, si collocava davanti alla Francia (1,9%) e al Regno Unito (1,8%) e dietro l’India (2,9%). Sul podio resta la Cina (28,2%), seguita dagli Stati Uniti (17,2%). Non sono certo numeri tirati a caso quelli ben incastonati nel Rapporto Scenari Industriali del Centro Studi di Confindustria, presentato questa mattina e curato dal direttore del Centro Studi, Stefano Manzocchi.

EFFETTO LOCKDOWN

Poi però, è successo qualcosa. L’impatto della pandemia sui livelli di attività della manifattura italiana è stato “immediato e violento”, mette in chiaro Confindustria. Nei due mesi di lockdown (marzo e aprile) la produzione è diminuita mediamente di oltre il 40%, anche se con un profilo fortemente disomogeneo a livello settoriale (dal -92,8% della produzione di prodotti in pelle al -5,5% del farmaceutico). Il recupero dei livelli produttivi da maggio è stato “pressoché istantaneo”, così che nel giro di quattro mesi il livello di produzione è tornato intorno ai valori di gennaio con un incremento del 76% rispetto al minimo toccato in aprile.

QUESTIONE DI RESILIENZA

Ora, il rallentamento produttivo dell’Italia “non costituisce una anomalia nel confronto internazionale”. Guardando alle altre grandi economie europee l’Italia mostra, anzi, “una contrazione dei tassi di crescita relativamente contenuta, oltre che una maggiore reattività allo shock pandemico”. Insomma, l’Italia e le sue imprese hanno dimostrato di essere capaci di sapersi rialzare più volte.

D’altronde, per ammissione dello stesso presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, “il sistema industriale italiano ha mostrato una resilienza e una capacità di reazione notevole dopo il lockdown contribuendo in modo decisivo al rimbalzo del terzo trimestre: purtroppo la ripresa dei contagi ha di nuovo invertito la tendenza e di ripresa si parla ormai per il 2022”. Preoccupano semmai “i ritardi nel concepire una strategia di sviluppo sostenuto e sostenibile per l’Italia, fondata sul contributo delle imprese che competono con successo sul mercato nazionale e internazionale”.

ENERGIE D’ITALIA

C’è di più. L’economia italiana a detta degli Industriali guidati da Bonomi, sta dimostrando di avere già compreso i futuri cambiamenti, inevitabili, imposti dalla pandemia. “L’uscita dalla pandemia coinciderà con cambiamenti importanti negli stessi driver dello sviluppo, nell’ambito dei quali un ruolo importante sarà svolto dalla transizione green. L’industria italiana affronta la sfida della sostenibilità ambientale competitiva potendo contare su un vantaggio strategico da first mover rispetto a molti dei suoi partner internazionali, avendo già da tempo fatto i conti con un approccio responsabile alla produzione e al consumo di risorse”.

Un esempio? L’industria italiana presenta, secondo Confindustria, un ridotto impatto in termini di rifiuti solidi prodotti, grazie ad un approccio circolare all’uso delle risorse (grazie alle attività di riciclo e recupero è stato infatti possibile re-immettere nel sistema economico l’83% circa dei rifiuti speciali prodotti in Italia, contro l’81% registrato in Germania, il 71% in Francia, il 60% del Regno Unito e una media Ue del 53%) e un ridotto impatto in termini di emissioni di gas serra prodotti dalle attività di trasformazione.

Di più. Secondo le stime del Centro Studi Confindustria, la manifattura italiana colloca al quarto posto tra le principali economie globali, al terzo nella Ue, per minor intensità di Co2 (Co2 in rapporto al valore aggiunto), su livelli equivalenti a quelli registrati dalla manifattura tedesca. Rispetto alla media Ue, l’intensità delle emissioni di Co2 della manifattura italiana è inferiore del 31%.

OCCHIO AL TRENO DEL RECOVERY

Ma attenzione. Essere resilienti e resistenti non basta se non si sfruttano al meglio opportunità storiche e probabilmente uniche (qui l’intervista odierna al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Mario Turco). Bonomi e gli imprenditori lo sanno. E lo hanno ricordato proprio oggi. “Il piano Next Generation Ue rappresenta una opportunità senza precedenti per realizzare un programma massiccio di investimenti pubblici e privati che rilanci la competitività del sistema produttivo italiano nella fase di ripresa dell’economia post pandemia e che rafforzi le fondamenta della sua sostenibilità negli anni a venire, consentendo di intercettare le traiettorie di sviluppo intorno alle quali si vanno definendo le nuove catene di valore europee e globali”.

“Il rischio che l’Italia non rischi a sfruttare pienamente questa opportunità purtroppo è molto alto – ha osservato tuttavia Bonomi – stanti i cronici problemi che affliggono le pubbliche amministrazioni, centrali e regionali, nell’avviare e portare a termini i progetti finanziati dai fondi comunitari. Per minimizzarlo sarebbe auspicabile che il piano nazionale di ripresa e resilienza fosse perseguito individuando pochi, grandi progetti, integrati su snodi strategici per lo sviluppo del paese e con una governance e una strumentazione di policy unitaria a livello nazionale”.

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