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Ancora Francia. Così il Creval vola tra le braccia di Crédit Agricole

La banca francese, per mezzo della sua controllata italiana, lancia un’Opa da 737 milioni per rilevare l’istituto italiano. I sindacati applaudono e dalla Francia arrivano rassicurazioni circa la natura amichevole dell’operazione. E poi è l’Europa a chiedere aggregazioni per evitare default in serie. Ma pochi giorni fa il Copasir ha ricordato a Roma come le mani francesi siano sempre pronte ad allungarsi sui nostri gioielli

L’Europa lo dice da tempo, fin da prima della pandemia. Il futuro delle banche è nel’aggregazione. Perché, è il mood europeo, senza spalle larghe non si va da nessuna parte, tanto meno si resiste all’urto della più disastrosa crisi dal 1945 ad oggi. La nuova ondata di contagi si tradurrà in un’impennata delle sofferenze, con famiglie e imprese che non riusciranno a rimborsare i prestiti contratti, causa assenza di fatturato. Il tutto avrà un impatto sui patrimoni delle banche minori, che dovranno accantonare sempre più capitale per evitare di finire sotto la soglia critica di patrimonializzazione.

In questo contesto, dopo una primavera scandita dalla maxi-fusione (6 miliardi) tra Intesa SanPaolo e Ubi, ha preso forma l’Opa della francese Crédit Agricole sul Credito Valtellinese, storica banca del Nord Italia, profondamente legata al territorio e oggi in mano a un pool di fondi e azionisti esteri, tra cui Morgan Stanley (6,4%), Hosting Partners (5,1%) e la stessa banca francese (9,8%). Il canovaccio è comunque sempre quello, una grande banca, magari francese, che compra una più piccola.

ASSALTO AL CREVAL 

Questa mattina Crédit Agricole Italia, società guidata dall’ad Giampiero Maioli e branch italiana dell’omonimo gruppo francese concepito per il finanziamento all’agricoltura transalpina, ha lanciato un’Opa al prezzo di 10,5 euro per azione contro 8,7 euro di chiusura del titolo di venerdì scorso per un esborso massimo complessivo di 737 milioni di euro. In questo modo, proprio grazie all’Opa sul Creval (che nel 2019 ha chiuso i bilanci con un utile di poco sotto i 60 milioni, mentre tra gennaio e settembre 2020 l’utile ha toccato i 65 milioni, in aumento del 57%) nascerà con ogni probabilità la sesta banca commerciale in Italia per asset in gestione e la settima per totale attivi e numero di clienti (2,8 milioni), raggiungendo una quota di mercato del 5% a livello nazionale in base al numero del filiali (1.200). Piazza Affari sembra gradire l’operazione, come ha dimostrato la fiammata sul titolo Creval,  sospeso con un rialzo teorico del 21,33% per poi essere ammesso a 10,61 euro, oltre la soglia della stessa Opa.

OPA DELLA PROVVIDENZA?

La scalata era comunque nell’ordine delle cose, se l’aspettavano i lavoratori del Creval. Come dimostra anche la benedizione arrivata dai sindacati. “L’Opa era nell’aria. Con le informazioni a ora disponibili possiamo commentare l’operazione solo a grandi linee ma esprimiamo un parere positivo e la condividiamo”, ha fatto sapere il segretario generale della Uilca, Massimo Masi. “Non è solo un’operazione già preannunciata ma rientra pienamente nella direzione di un rafforzamento e di una concentrazione dei grandi gruppi bancari, in linea con il percorso già tracciato di recente da Intesa Sanpaolo e Ubi. Potremo esprimere un giudizio più puntuale quando avremo modo di esaminare il piano industriale, ma siamo fiduciosi che l’operazione sarà in linea con il modo di fare di Crédit Agricole. Ci auguriamo pochi esuberi, poche chiusure di sportello e, al contrario, l’assunzione di molti giovani e una maggiore attenzione alle pmi e all’economia italiana”.

UN’OPERAZIONE AMICHEVOLE

La banca francese ha comunque messo le mani avanti, parlando di “operazione amichevole”. Secondo il ceo di Crédit Agricole Italia, Giampiero Maioli, quello odierna è “un’operazione che noi consideriamo sostanzialmente amichevole, che crea valore per tutti.  Con i vertici di Creval sono stati colloqui molto cordiali. Loro hanno riconosciuto che la banca non ha la dimensione per poter affrontare le difficoltà di mercato e le innovazioni tecnologiche necessarie. Credo che in questo siano molto lucidi. Ed è chiaro che loro hanno azionisti di riferimento e dovranno fare le loro valutazioni come le farà il mercato, ma sul progetto industriale in sè non ho percepito che ci siano contrarietà o diversità di vedute”. Secondo Maioli quindi “l’operazione non è paragonabile a Intesa-Ubi, dato che là c’erano realtà, sane e importanti, che avevano entrambe la possibilità di un percorso stand alone. Credo che in questo caso lo scenario sia un po’ diverso”.

IL MONITO DEL COPASIR

L’Italia è comunque abituata ormai da tempo ai blitz francesi, a cominciare dal 2006, anno della scalata di Bnp-Paribas alla Bnl (negli stessi anni, ma in ambito extra-bancario, Lactalis rilevava Parmalat). Proprio nei giorni scorsi il Copasir, il comitato per la sicurezza della Repubblica, ha diffuso la sua relazione sul sistema finanziario e bancario nazionale, mettendo in guardia dalle mire francesi. L’Agricole guarda da tempo con interesse a Banco Bpm e la stessa Unicredit è spesso finita vittima di sirene fanco-tedesche. Un risiko che tira direttamente in ballo Mps. Il Tesoro, azionista al 68% di Siena, ha ribadito l’intenzione di voler uscire nel 2021 e restituire la banca al mercato. E non è un mistero che la stessa Unicredit sia in lizza per una fusione con il Monte. Spostando il baricentro più in là, al Copasir non è sfuggito nemmeno un altro rumor, la possibile fusione di Generali con il colosso assicurativo francese Axa. Non è tutto. Parigi, sempre secondo Palazzo San Macuto, detiene ad oggi 285 miliardi di debito italiano, per mezzo di operatori istituzionali.


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