Skip to main content

Per le donne solo pannicelli caldi. Da dove partire

Di Federica Marotti

Bisogna cambiare prospettiva, pensare laterale, pensare soprattutto. Magari anche studiare gli esempi e i casi di Paesi più evoluti da questo punto di vista e avere il coraggio di inventare, sperimentare, diventare modelli di studio per il resto del mondo. Non ho mai amato le quote rosa, ma con il passare degli anni e con l’esperienza le ritengo ora un male necessario. Il commento di Federica Marotti

“Bisogna aiutare le donne in particolare le mamme lavoratrici. In questo periodo più che mai”. Ecco tra le varie frasi fatte, generalmente piene di forma e vuote di sostanza, questa è tra le prime in classifica.

Dal lockdown, mi correggo dal primo lockdown perché purtroppo temo andranno numerati, questa è stata una frase scappatoia usata da tanti: politici, tecnici, esponenti del mondo istituzionale. In particolare, per cercare di uscire dalla palude di una evidente contraddizione in termini, bambini a casa e genitori al lavoro, in smartworking o in ufficio poco cambia, questa era ed è tuttora la risposta standard.

Facendo finta di essere convinti ma con un tono frettoloso, a volte infastidito, spesso a metà tra la litania e la voce registrata della segreteria telefonica. Perché contenuti e soluzioni non ce n’erano a febbraio e non ce ne sono ora. Fondamentalmente si dice alle famiglie rivolgendosi, senza false ipocrisie, in particolare alle donne, di arrangiarsi, di cavarsela da sole, di fare come sempre: soffrire, sacrificarsi, moltiplicarsi per 4, ma possibilmente in silenzio e senza troppe lamentele. Del resto, ed è sotto gli occhi di tutti, quasi sempre la responsabilità, il peso e l’organizzazione familiare oggi più che mai ricade sulle donne. Il perché dipende da tanti fattori: cultura ancora fortemente patriarcale (o forse è più corretto dire maschilista?), stipendio, il pay gender gap, che non è una frase in inglese da usare come riempitivo in conversazioni sul sesso degli angeli, ma un reale problema a cui bisogna metter mano, un approccio spesso intrinseco della donna al sacrificio e varie altre motivazioni di carattere personale, culturale e sociale.

Volendo vedere il lato positivo, almeno se ne parla. Si è arrivati, anche grazie alla voce, agli scritti, alla volontà, di donne, giornaliste, imprenditrici, professioniste, e anche di qualche uomo illuminato, rendiamo merito quando è giusto, a far emergere il problema, parlandone a voce alta e non più sussurrandolo. Purtroppo siamo sempre fermi lì. Sono arrivati dei bonus, baby sitter, nido e poco altro, pannicelli caldi per provare a rammendare un buco enorme che non si può chiudere con toppe o pezze, ma che va affrontato creando un vestito nuovo, su misura. Bisogna cambiare prospettiva, pensare laterale, pensare soprattutto. Magari anche studiare gli esempi e i casi di Paesi più evoluti da questo punto di vista e avere il coraggio di inventare, sperimentare, diventare modelli di studio per il resto del mondo.

Dall’incremento del numero degli asili nido, altro concetto di cui tutti parlano ma che nessuno ha ancora affrontato realmente, al rafforzamento della presenza delle ragazze alle lauree Stem (indirizzi scientifico-tecnologici), a politiche di incentivi, sgravi fiscali per ridurre il divario di stipendio tra donne e uomini, all’ampliamento non solo ai board ma anche ai vari livelli aziendali delle quote rose, a sostegni welfare mirati, all’uso intelligente dei fondi del Recovery Fund per iniziative di sostegno e sviluppo del lavoro femminile.

Non tutte sono soluzioni brillanti e sicure, non sono la panacea per risolvere il problema, ma se si facesse davvero un piano organico di misure dedicate al mondo femminile sicuramente qualcosa si inizierebbe a muovere.

Personalmente non ho mai amato particolarmente le quote rosa, mi sono sempre sembrate una forma di discriminazione al contrario, ma con il passare degli anni e con l’esperienza le ritengo ora un male necessario.

Anche per il pay gender gap non ci sono formule magiche, ma se secondo gli ultimi dati del World Economic Forum il divario salariale tra uomo e donna nel mondo supera il 40%, e per colmare il gap ci potrebbero volere oltre 100 anni, ecco forse qualcosa di concreto e immediato va fatto. Ritengo che le proposte di premiare le aziende che hanno un minore divario salariale, o che stanno attuando azioni per colmarlo, siano da preferire a ipotesi di azioni punitive o repressive. Questo perché da sempre sono convinta che gli approcci positivi e propositivi siano sempre migliori perché non si limitano a risolvere problemi contingenti, ma permettono di interiorizzare le soluzioni e se ben indirizzate a farle diventare parte della cultura aziendale.

È evidente che da qualche parte si debba partire, qualcosa fare. Non tutto sarà fantastico, ma la somma forse farà finalmente un totale. Un totale che non è a favore solo delle donne ma a beneficio di tutti. E questo dovrebbe essere il vero punto di partenza.

×

Iscriviti alla newsletter