Alcuni consiglieri regionali liguri hanno chiesto che l’Italia sanzioni l’intera Hezbollah come organizzazione terroristica. L’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, già ministro degli Esteri, spiega perché è la mossa giusta
Il voto alle Nazioni Unite di condanna delle gravissime violazioni dei diritti umani da parte dell’Iran dimostra come il comportamento del regime teocratico sciita sia sempre meno tollerato dalla comunità internazionale. Univoco il messaggio lanciato soprattutto dai Paesi occidentali.
Anche tra gli Stati membri dell’Unione europea alle forti preoccupazioni per i diritti umani si sommano quelle sul terrorismo a matrice iraniana, in particolare attraverso suoi proxy come Hezbollah. Negli ultimi mesi il fronte dei membri Ue che definiscono Hezbollah nel suo insieme come organizzazione terroristica è aumentato e comprende ora Germania, Paesi Bassi, Austria, Repubblica Ceca, Lituania ed Estonia; Paesi, tra l’altro, che non sono affatto intimoriti da possibili ricatti iraniani verso i contingenti militari che essi hanno in Unifil, schermo dietro il quale si ritraggono invece alcune nostre forze politiche.
Il “Partito di Dio” (Hezbollah), come documenta dettagliatamente un recente report dell’Ong americana United Against a Nuclear Iran (Uani), è una formazione islamista sciita transnazionale fondata dall’Iran nel 1982, seguendo l’ideologia del velayat-e faqih proclamata dall’ayatollah Ruhollah Khomeini. Fin dalla sua creazione, Hezbollah ha fatto del terrorismo uno dei suoi più importanti core business. Nel mirino ci sono sempre stati nemici dell’Iran, sia in Libano che all’estero. È ampiamente dimostrato da documenti, fatti, dichiarazioni dei suoi stessi leader, oltre che dalle fonti e modalità di finanziamento e di reclutamento, che non vi è alcuna distinzione o separazione possibile tra “ala militare” e “ala politica” dell’organizzazione.
Dietro la copertura di attività socio-assistenziali, si celano vaste attività criminali (traffico di droga, armi, riciclaggio, hackeraggio) ramificate ormai in quasi tutti i continenti. Il coordinatore per l’Antiterrorismo del dipartimento di Stato americano Nathan Sales, ha tempo fa rivelato che anche nel nostro Paese “vi sono depositi segreti di armi appartenenti a Hezbollah. Essi sono trasferiti a seconda delle convenienze attraverso Belgio, Francia, Grecia, Italia, Spagna e Svizzera. Posso anche rivelare che significativi depositi di nitrato di ammonio sono stati scoperti e distrutti in Francia, Italia e Grecia”. Lo stesso Sales ha inoltre denunciato che “il coinvolgimento di Hezbollah negli ultimi anni in complotti terroristici e in altre attività in Europa è molto ben documentato. Hezbollah continua a considerare l’Europa come una piattaforma operativa, logistica, di approvvigionamento e di raccolta fondi vitale e strategica”.
Nonostante l’evidenza che fa di Hezbollah un’effettiva organizzazione terroristica, si continua ad assistere alla sconcertante rappresentazione di un’asserita dicotomia tra “militare” e “politico”. Basti, ancora una volta, ricordare le dichiarazioni del numero due di Hezbollah, Naim Qassem: “In Libano c’è un Hezbollah, chiamato Hezbollah. Non abbiamo un’ala militare e un’ala politica”.
Appare quindi sempre più urgente interromperne i canali di finanziamento e le capacità operative anche sul territorio europeo che sostengono l’intera organizzazione, dichiarando tutta Hezbollah per ciò che è: una pericolosissima organizzazione terroristica e criminale. Anche per il nostro Paese, è giunto il momento di riconoscere l’evidenza dei fatti e l’intreccio di legami tra Hezbollah e la grande criminalità organizzata nel nostro Paese. Un impulso nella giusta direzione viene dalla Liguria, dove un gruppo di consiglieri regionali ha depositato una mozione al governatore, Giovanni Toti, chiedendo un’iniziativa rivolta al parlamento e al governo affinché anche l’Italia sanzioni l’intera Hezbollah come organizzazione terroristica.
È un segnale importante che mostra come in Italia vi sia una viva sensibilità in argomento. Il voto favorevole dell’Italia alla risoluzione sulla situazione dei diritti umani in Iran potrebbe, auspicabilmente, segnare l’inizio di una più matura consapevolezza circa l’urgenza di una diversa linea politica verso la teocrazia iraniana.