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Il Pdl non tornerà. Ecco cosa faranno FdI, Lega e FI

Se Fratelli d’Italia, seraficamente, si è seduta sulla sponda del fiume e punta a costruire con calma una nuova leadership, la Lega invece teme il passare del tempo, quindi sceglie la fuga in avanti della federazione che però nasce già (quasi) morta. E FI sa che un ciclo è ormai finito

È il fattore tempo quello che potrà giocare un ruolo primario nella scomposizione (e futura ricomposizione) del destra-centro attualmente nel panorama politico italiano. Il centrodestra governa unito in 14 Regioni, è il mantra che i maggiorenti della coalizione ripetono, ma è di tutta evidenza come la contingenza “Stato-Enti Locali” ad oggi sia complessa e altamente diversificata, anche perché influenzata esternamente in maniera rilevante.

Resta intatta però l’esigenza di andare oltre uno schema impantanato: il cdx avrebbe i voti per governare ma non riesce a farlo per un serie di ragioni. Fino a quando i sondaggi sorrideranno? Non si dimentichi che la prima Lega con solo l’8% esercitava un’Opa molto significativa sul governo Berlusconi.

NO PREDELLINO

Da queste colonne ieri il capogruppo della Lega al Senato, Massimiliano Romeo, ha indicato al centrodestra italiano la nuova strada: imitare i Repubblicani americani con Salvini nel ruolo di federatore, anche grazie ai suggerimenti dell’ex Presidente del Senato Marcello Pera. Una proposta che sembra non trovare concordia nei due alleati di FI e FdI che, per diversi motivi, hanno un altro cronoprogramma rispetto all’esigenza della Lega di riequilibrare al più presto strategie e obiettivi.

Rispetto a quando Berlusconi fondò il Pdl ci sono alcune macro differenze, una su tutte la legge elettorale: ieri più maggioritaria e oggi più verso il modello proporzionale. Questa la prima osservazione che molti nei circoli dei due partiti alleati hanno fatto per commentare la sortita salviniana, ben consci però che “si può proporre tutto e il contrario di tutto”, come rivela un parlamentare di destra a Formiche.net.

Ovvero, proprio perché la Lega ha il maggiore interesse, fra i tre partiti alleati, a cambiare rapidamente schema di gioco per ottenere i risultati che sono mancati alle scorse regionali vi sono perplessità sul modus in cui si è giunti alla proposta federativa. Restando al paragone con il Predellino (novembre 2011), quella mossa fu anticipata nei fatti dalla piazza stracolma di San Giovanni (2 dicembre 2006), quando una semplice manifestazione contro la Legge Finanziaria del governo Prodi si trasformò in una adunata anti-sinistra, dove gli elettori spinsero fisicamente i partiti alla svolta. E uno stratega come Berlusconi lo capì al volo.

DESTRA DI GOVERNO?

Oggi la cornice è diversa, non fosse altro perché la Lega è in calo nei sondaggi, Fratelli d’Italia ha superato il M5s, Forza Italia è elettoralmente in crisi esistenziale (ma più attiva quanto a strategia con vista Colle e vista Mediaset) e c’è l’emergenza Covid a monopolizzare l’attenzione di cittadini e imprese. In questo senso il partito di Giorgia Meloni, nelle intenzioni, vuol provare a giocare una partita diversa, accreditandosi in prospettiva come l’unica destra, potabile, atlanticamente affidabile e di governo, rispetto ai tentennamenti salviniani che sta facendo i conti con due macigni: una congiuntura internazionale non semplice legata al post urne Usa e il dibattito interno sulla linea Giorgetti-Zaia.

Meloni è recentemente diventata Presidente dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr), conscia che la dimensione politica con la quale oggi ci confrontiamo assume una più grande importanza dal punto di vista europeo, in aggiunta a quello nazionale. Non solo la singola idea di un’Europa confederale, ovvero di un’altra Europa rispettosa della sovranità degli Stati nazionali, ma anche il concetto di difesa comune europea e il corposo dossier su debito e Mes su cui ha preso una posizione netta (e diversa rispetto al passato) un nome di primo piano della governance europea come il Presidente del Parlamento, David Sassoli.

COSTRUIRE

Qualcuno, come Il Foglio di oggi, osserva che Fdi e Lega si pestano i piedi perché pescano nello stesso bacino elettorale: è così fino ad un certo punto. Lo sforzo che Fratelli d’Italia sta faticosamente provando a fare è quello di rimettere in cammino un variegato mondo conservatore sulla traiettoria dell’euroatlantismo, tracciando piccole ma costanti linee che, unite, potranno un domani comporre un mosaico nuovo quando la fisiologica scomposizione busserà alla porta del centrodestra italiano dopo che Berlusconi deciderà di uscire di scena (al momento è tornato però centrale).

La considerazione di fondo è che il tempo non manca, perché le urne sono oggettivamente lontane e al di là del capitolo dedicato al possibile smottamento nella maggioranza (dove si insinua sempre più l’idea di sostituire l’attuale premier), Fdi tenta il costrutto sul medio-lungo periodo senza l’ansia da prestazione dei sondaggi, come invece accaduto a Salvini. Quest’ultimo ha l’esigenza più pregnante di un rapido riequilibrio dopo le regionali, dopo l’uscita di scena di Trump e dopo un sostanziale livellamento dato da una frenetica esposizione mediatica. In questo senso va letto l’avvicinamento con Pera, che però ha provocato anche dubbi di merito nell’ala più sovranista dei suoi elettori. Come conciliare, ad esempio, le tesi di Pera e quelle di Bagnai su alcuni temi chiave?

SCENARI

Un grande tattico della politica italiana, come l’ex vicepremier Pinuccio Tatarella (non a caso citato spesso da due esponenti molto intelligenti come Maroni e D’Alema), diceva che in politica i tempi di una mossa contano più della mossa stessa. Cosa dovrebbe fare e quando il centrodestra italiano per programmare il futuro?

Al momento si procede per strappi e tentativi, certi che gli alleati non mancheranno di sgomitare, come dimostra lo scippo leghista di tre deputati forzisti. Alcuni riferiscono che nella Lega molti sarebbero felici della candidatura (che non ci sarà) al Campidoglio di Giorgia Meloni perché si darebbe sostanzialmente via libera ad un nome leghista per la prossima premiership. Di contro altri mettono l’accento sul fatto che “FdI più attende e più cresce, nei sondaggi e nella consapevolezza di dover lavorare per il domani e non per l’oggi, in un frangente in cui altri hanno scadenze più immediate”.

Il riferimento è alla diarchia Salvini-Giorgetti da un lato, che quando verrà risolta non sarà indolore, e alla doppia mossa Colle-Mediaset per Forza Italia dall’altro. Per cui se Fratelli d’Italia seraficamente si è seduta sulla sponda del fiume e punta a costruire con calma leadership e consapevolezze, invece la Lega teme il passare del tempo, quindi sceglie la fuga in avanti della federazione che però nasce già (quasi) morta. FI invece sa già che un ciclo è ormai finito.

twitter@FDepalo

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