Skip to main content

L’Italia resta in Afghanistan. La linea della Difesa (e della Nato)

“L’Italia continuerà a fare la propria parte”. Così il ministro Guerini spiega la linea per l’Afghanistan, frutto della valutazione della situazione sul campo (che rimane delicata), di un colloquio con il segretario generale della Nato e delle rassicurazioni arrivate ieri dai vertici militari degli Stati Uniti (con un occhio a Joe Biden)

La riduzione del contingente americano in Afghanistan non modifica (almeno fino al prossimo febbraio) l’impegno italiano nel Paese, attualmente pari a circa 800 unità, per lo più impegnate nella provincia occidentale di Herat. Lo ha spiegato questa mattina il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, intervenuto di fronte alle Commissioni Difesa di Senato e Camera per parlare del Documento programmatico pluriennale del dicastero. La decisione Usa (confermata ieri dal capo del Pentagono Christopher Miller) ha inevitabilmente indotto il titolare di palazzo Baracchini a fare un punto della situazione.

I CONTATTI TRA NATO E USA

Un punto che è arrivata dopo la chiamata di questa mattina con il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg. “Abbiamo avuto un confronto e condiviso alcune valutazioni in ordine a questa decisione”, ha spiegato Guerini. La posizione italiana, che è in linea con la Nato, si riassume nel motto “in togheter, out togheter, adjust togheter”. Anche a fronte della riduzione del contingente americano da 4.500 unità a 2.500. Ieri, ha spiegato Guerini, l’ufficialità del capo del Pentagono è stata preceduta “dalle conversazioni avute con i partner americani e anche dalle valutazioni che sono convenute alla nostra attenzione da parte del generale Miller, comandante delle truppe in Afghanistan”.

LE RASSICURAZIONI USA

All’Italia “è stata data assicurazione che gli Stati Uniti ritengono mantenere inalterata la presenza delle strutture abilitanti, soprattutto dal punto di vista dell’aviazione ad ala fissa e ala rotante e di mantenere inalterato il sostegno di strutture e assetti provenienti al di fuori dell’Afghanistan, come ad esempio la base americana in Qatar”. Si tratta delle componenti del contingente Usa che assicurano sicurezza alle unità degli altri Paesi impegnati nell’operazione Nato Resolute Support, l’impegno che ha assunto l’eredità di Isaf, scattata dopo gli attacchi dell’11 settembre 2011.

LA LINEA ITALIANA

Ai vari interlocutori, Guerini ha spiegato che l’Italia aderisce alla linea di “decidere insieme i passi che devono essere compiuti con alcuni punti essenziali: primo la sicurezza dei nostri contingenti impegnati; il secondo il nostro impegno a decidere insieme”. Occhi puntati sulla ministeriale nato di febbraio: “Dopo l’insediamento della nuova amministrazione americana – ha notato il ministro – sarà il momento in cui l’alleanza dovrà valutare la propria postura in Afghanistan; dovrà decidere se continuare la missione, come continuare la missione oppure se procedere alla conclusione della missione con il ritiro complessivo dei contingenti lì schierati”.

LA SITUAZIONE SUL CAMPO

Anche perché finora si è sempre parlato di un ritiro “condizionato” alla situazione di sicurezza. E al momento “i colloqui di Doha, sia tra talebani e Stati Uniti, sia dal punto di vista del dialogo intra-afghano, sono in una fase di sviluppo con situazioni anche contraddittorie rispetto agli esiti sperati”, ha notato il ministro. “La cessazione delle violenze auspicata nel dialogo di Doha oggetto del confronto tra Stati Uniti e talebani è ancora lungi dall’essere raggiunta”. Prioritario, ha aggiunto Guerini, “che non vi siano arretramenti rispetto ai risultato che in questi anni sono stati raggiunti in termine di accrescimento di diritti civili, di condizione delle donne, di accesso all’istruzione”.

UN’ALLEANZA UNITA

Da tutto questo deriva la scelta italiana, supportata dalla preservazione “delle condizioni di garanzia attraverso le quali la missione continua”. E così “penso che l’Italia continuerà a fare la propria parte, soprattutto nell’impegno che ci è stato assegnato, nella guida della missione nel settore ovest dell’Afghanistan basato a Herat”. Certo, ha spiegato Guerini (con uno sguardo alla nuova amministrazione di Joe Biden) sarebbe “importante è che l’Alleanza dia messaggio coeso, unito, a tutti gli interlocutori, perché credo che solo una capacità di rappresentarci in maniera unita può essere un elemento di pressione per far sì che i colloqui di Doha e gli auspici che a Doha sono stati formulati possano trovare, seppur in un quadro molto complesso e difficile, la loro possibilità di realizzazione”.


×

Iscriviti alla newsletter