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Ecco il (vero) rischio per Conte sul Recovery Fund. Parla Gustavo Piga

L’economista e saggista di Tor Vergata: l’Italia non ha ancora imparato a spendere bene i fondi europei, fossi in Conte userei solo i sussidi del Recovery Fund, perché i prestiti rischiano di fare debito senza crescita. La storia giudicherà il premier, ma dire che ha sbagliato tutto sulla pandemia è una balla. Difficile che la Bce cancelli il nostro debito. Il Patto di Stabilità? Speriamo non torni, è un tentato omicidio della costruzione europea

Si fa presto a intascare 200 e passa miliardi senza sapere esattamente cosa farne. Per l’Italia, che i Fondi strutturali europei, decisamente precedenti al Recovery Fund, li ha spesi poco e male, il rischio di buttare a mare nuove risorse è molto, ma molto alto. Ma c’è di più.

Se i soldi del Recovery Fund fresco di accordo tra Parlamento e commissione Ue verranno spesi male, cioè per finanziare progetti già in cantiere e non quei nuovi investimenti strutturali necessari alla crescita, l’Italia non solo si ritroverà ad aver sprecato fondi che in tale entità non torneranno più, ma dovrà anche rimborsarne in parte, dal momento che solo 65 miliardi su 209 sono a fondo perduto. Per questo, avverte l’economista di Tor Vergata e saggista nelle librerie con l’ultima fatica “Interregno” (Hoepli), Gustavo Piga, occorre accendere quanto prima il cervello prima di mettere le mani sui soldi. E un modo per farsi poco male c’è.

 Piga, ieri l’accordo comunitario sul Recovery Fund. Alla fine, è arrivato. Ma in un paio di occasioni si era messa male…

Non dobbiamo essere molto sorpresi di quanto visto ieri. Sarebbe stata pura fantascienza se in piena seconda ondata, l’Europa avesse fallito il colpo. Sarebbe esplosa l’Europa stessa, sarebbe stato il colpo di grazia. Le cose sono andate come dovevano andare e in questo dobbiamo riconoscere la leadership di Angela Merkel. Non c’è niente di sorprendente, però. Abbiamo sempre saputo che il Recovery Fund sarebbe partito.

Nei giorni scorsi però, dalle colonne del Sole 24 Ore, lei ha espresso dubbi sull’utilizzo del Recovery Fund da parte italiana. Più un presagio, di quelli inquietanti.

Sì. Mi chiedo, per esempio, se saremo capaci di sfruttare tutto il potenziale del Recovery Fund. Questo è un grande punto interrogativo la cui risposta dipenderà dalla capacità di leadership di Giuseppe Conte. Nella Nota di aggiornamento al Def è scritto chiaramente che i denari concessi dall’Europa non andranno a finanziare nuovi progetti e dunque genereranno davvero poca crescita. E dunque i prestiti, finanzieranno spese già previste, dunque niente crescita e soldi da rimborsare. La montagna partorirà il topolino.

Mi scusi, ma non mi sembra un buon programma…

E non lo è. O meglio, potrebbe non esserlo. Dipende da noi. Ma c’è di più. Se parliamo dei prestiti del Recovery ci leghiamo anche le mani a un processo di rientro del deficit, dunque un processo di rientro fiscale durissimo, partendo da un deficit del 7% del 2021. L’Europa infatti ci dà i soldi, ma ci chiede anche un rientro sui conti. Alla fine con una mano dà e con una mano leva. Ed è per questo che non c’è scampo: l’unica via d’uscita è spendere al meglio i miliardi che ci verranno dati, perché senza crescita sarà impossibile rientrare nei parametri di bilancio, a meno che non vi siano nuove entrate, alias tasse. Non è un caso che il governo tentenni nell’utilizzare i prestiti, anziché i contributi a fondo perduto. E onestamente credo che alla fine i prestiti non li useremo. Comunque, se vogliamo aggirare la questione prestiti, un modo c’è.

Tiro a indovinare, meglio usare subito i contributi a fondo perduto, quelli che non dobbiamo rimborsare. Corretto?

Sì, il gioco vale la candela. Parliamo comunque di un bel po’ di risorse. Con i sussidi rischiamo meno dei prestiti. Però subentra un altro problema, il rischio di buttare denaro. E qui, tornando a Conte, serve capacità: gare, procedure veloci, cantieri. In una parola, investimenti, ma di quelli buoni. Ho il terrore che dal basso arrivino migliaia di richieste per migliaia di progetti inutili.

Piga, parliamo della Bce. Si riparla di possibile cancellazione del debito sovrano che Francoforte detiene sotto forma di titoli di Stato. Lei ci crede?

No, non ci credo, anche se volte ci si sbaglia. Ma onestamente vedo troppe tecnicalità, mi pare troppo complessa come operazione, sarebbero richiesti una serie di accordi. E poi i mercati potrebbero innervosirsi. Non lo so, mi pare difficile che accada. Troverei molto più sensato imparare a investire e questo è un Paese che ancora non ha imparato a farlo, ahimè.

La strategia di Conte, adottata fin qui, è stata votata allo step by step. In molti altri Paesi hanno agito diversamente. Lei che idea si è fatto?

Non lo so. Di se ed era meglio sono piene le fosse. Però una cosa la voglio dire. Non credo che Conte passerà alla storia come il premier che ha sbagliato tutto. Ha comunque gestito una situazione che più difficile di così non poteva essere. Nemmeno tra 20 anni sapremo se poi alla fine Conte ha fatto bene o male e comunque io la palla di vetro non ce l’ho.

In questo momento milioni di osservatori si stanno ponendo una domanda: le imprese italiane possono reggere un secondo lockdown? Gusta Piga cosa risponde?

Tanto per cominciare sarà un lockdown diverso, verranno lasciate aperte molte attività industriali rispetto a marzo. E poi ci sono delle risorse da utilizzare. La scorsa primavera c’è stato un problema di efficacia e di velocità che adesso non può e non deve esserci. Quindi parliamo di due contesti comunque diversi tra loro.

Chiudiamo tornando all’Europa. Ai primi di novembre Maastricht ha compiuto 27 anni di entrata in vigore. Paolo Gentiloni ha detto che il Patto di Stabilità può essere congelato fino al 2022. Le chiedo se prima o poi certe regole torneranno…

Il Patto di Stabilità è un delitto, un tentato omicidio della costruzione europea e che ha foraggiato sentimenti di anti-europeismo, rappresentando non un meccanismo di risoluzioni delle crisi, ma se mai un qualcosa che accentua i problemi dell’Europa. Abbiamo bisogno di una costituzione fiscale europea, come in tutti i Paesi del mondo, con oneri e onori: ogni Paese abbia la sua autonomia e la crisi se la risolve anche da solo, convincendo i mercati della bontà dei suoi progetti.

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