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Tra Biden e Trump ha vinto la polarizzazione. Parla Del Pero

La delegittimazione del risultato elettorale, le divisioni interne fino alla polarizzazione: Usa2020 rappresenta una democrazia statunitense che fatica. Conversazione con Mario Del Pero, professore di Storia internazionale a SciencesPo

“Se non fosse per la presidenza, il risultato elettorale sarebbe molto buono per i repubblicani”. Mario Del Pero, professore di storia internazionale a SciencesPo di Parigi, fa con Formiche.net un bilancio a caldo delle elezioni presidenziali che parte da una constatazione tecnica quasi ironica. Il conteggio dei voti è ancora in corso (e forse poi ci saranno procedure legali per il riconteggio): per ora la strada per la vittoria che si trova davanti il contender democratico Joe Biden è ben più liscia rispetto a quella stretta e tortuosa che porterebbe Donald Trump a un secondo mandato.

I Repubblicani di cui Del Pero parla, contro la maggioranza delle previsioni pre-elettorali, hanno conquistato alcuni seggi alla Camera; è quasi sicuro che mantengano un’improntante maggioranza al Senato (“anche se vi è la possibilità di un doppio ballottaggio in Georgia in gennaio e quindi un piccolissimo spiraglio ancora aperto per i Democratici”); soprattutto, “dimostrano una capacità di allargare il proprio bacino elettorale del tutto inattesa per le dimensioni e, anche, i gruppi socio-demografici che intercettano (tra cui, a quanto pare, segmenti del voto, composito e complesso, dei Latinos)”.

Che America ci troviamo davanti dunque? “Dovremo fare un’attenta analisi disaggregata del voto e cercare di capirne l’esito anche per le tante assemblee legislative statali per cui si è votato, anche perché è a livello statale e municipale che oggi spesso si fa politica, ovvero si sostiene o contrasta, talora con grande efficacia, l’azione federale”. Un lavoro che seguirà nei prossimi mesi, nonostante è possibile che la concentrazione dovrà restare sulla questione presidenza.

Trump ha alluso a cospirazioni e brogli elettorali, ha parlato di “strane” circostanze che hanno permesso a Biden di superarlo durante lo scrutinio. Narrazione e propaganda, ma cosa ci raccontano di questo presidente? “La scomposta reazione di Trump a una possibile sconfitta ci ha offerto, se mai ve ne fosse stato ancora bisogno, la cifra della sua totale inadeguatezza al ruolo. Quattro anni alla Casa Bianca non hanno prodotto alcuna sua maturazione: continua a mancargli l’a-b-c della grammatica istituzionale e agisce una volta di più come soggetto eversivo di un ordine che, da presidente, dovrebbe invece proteggere e garantire, sanando le ferite politiche e istituzionali prodotte dalla radicale polarizzazione del Paese”.

La polarizzazione è un tema centrale del tessuto socio-politico americano, che con Del Pero è stato più volte affrontato su queste colonne: le matrici sono plurime, di lungo, medio e corto periodo, lo sappiamo bene: “Le sue forme si manifestano in tanti cleavages che, di nuovo, esamineremo con attenzione a freddo, con informazioni più complete e precise di quelle di cui disponiamo oggi. Ma il dato che sembra emergere in forma quasi parossistica è la frattura (verrebbe voglia di dire il fossato incolmabile) che si è venuta a determinare tra aree metropolitane e della prima suburbia da una parte e quelle etraxurbane/rurali dall’altro”.

Due mondi non solo distinti e separati, ma che si percepiscono e rappresentano sempre più in contrapposizione e in conflitto l’uno con l’altro: tema non solo americano, sebbene in queste (e in elezioni precedenti) sia perfettamente rappresentabile leggendo i risultati elettorali sulla carta geografica (sotto un esempio tutto dal New York Times che riguarda l’andamento del voto nel Wisconsin, stato vinto da Biden rovesciando il risultato del 2016: la vittoria del democratico è legata ai voti delle città e dei suburbi, mentre Trump ha retto nelle aree rurali).

Ora si apre una partita complessa. Trump – sfruttando pure quelle faglie interne appena descritte – aveva fatto di tutto per delegittimare preventivamente il voto e creare tra la sua base il convincimento diffuso che un successo democratico trainato dall’early voting non potesse che essere il risultato di brogli elettorali (“sì, se non che nel mentre i repubblicani attivavano loro stessi una massiccia mobilitazione per far votare prima i loro elettori…”, aggiunge Del Pero). Che cosa avremo davanti?

“Trump – risponde il professore – cercherà di contestare in ogni modo un risultato eventualmente sfavorevole, chiedendo i riconteggi laddove la differenza tra le due parti è limitata e vi possono essere stati fisiologici errori nel conteggio (cosa normale, che anche i democratici farebbero a parti invertite)”

Quali sono le variabili che si creeranno attorno a questa operazione di Trump? “Secondo me tre sono gli elementi dirimenti rispetto a questo tentativo: primo, i tempi stretti del collegio elettorale (14 dicembre), dell’eventuale ruolo supplente della Camera (6 gennaio) della fine del mandato presidenziale (20 gennaio) che mal si conciliano con i tempi lunghi della giustizia; secondo, il margine di una eventuale vittoria di Biden (se più largo di 270 grandi elettori diventa difficile contestarlo); terzo, la linea di un Partito repubblicano che in alcuni suoi rappresentanti non sembra incline a seguire Trump, ma che è ovviamente condizionato da una base pienamente schierata con il presidente”.

A questo punto, cosa aspettarsi? “Una presidenza Biden, con un Congresso diviso, i repubblicani rafforzati dal voto e corti con forte presenza di giovani giudici conservatori, sono uno scenario che ripresenta un contesto (e i dilemmi) di tutte le presidenze recenti: come governare. Tutto in un quadro di polarizzazione radicale e delegittimazione reciproca in un sistema federale e a presidenzialismo debole”.

“Presumibile – continua il docente di SciencesPo – una trincea permanente e una palude fatta di bassa produttività legislativa e governo burocratico-amministrativo con ordini esecutivi e indicazioni attuative alle burocrazie federali su come applicare le leggi esistenti, che di nuove si faticherà molto a farle. Un governo poco efficiente e ancor meno democratico, insomma. Paradigmatico anch’esso dell’evidente stato di fatica e finanche sofferenza della democrazia statunitense”.


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