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Unicredit e Generali, cosa (non) mi convince dell’alert Copasir. Parla De Mattia

Il Copasir fa il suo dovere: vigilare e riferire al Parlamento. Ma per Angelo De Mattia, economista ed ex direttore generale della Banca d’Italia, l’allarme su Unicredit e Generali nel mirino francese è solo l’ultimo capitolo di una lunghissima serie. E ci sono altri modi per frenare lo shopping estero

“Un rischio di particolare rilevanza per il sistema bancario” un’eventuale fusione di Unicredit con Credite Agricole e Societe Generale. “Un rischio a livello strategico” la possibile cessione di Generali ad Axa.

Dalla relazione sulle banche e le assicurazioni del Copasir l’allarme non poteva risuonare più chiaro: la Francia ha puntato i gioielli italiani del settore e lo Stato deve evitare che trasmigrino Oltralpe.

Il documento, redatto dal deputato Enrico Borghi (Pd) e dal senatore Francesco Castiello (M5S) e pubblicato in chiusura di un lungo ciclo di audizioni a Palazzo San Macuto con i protagonisti della finanza e dell’economia italiana, dai vertici di Banca d’Italia a quelli di Intesa, Unicredit, Mps, Bpm, Mediobanca, Generali, Ubi, fino ai direttori delle agenzie, Aisi e Aise, fa una radiografia delle mire francesi nel settore bancario e assicurativo italiano. E spiega perché consegnare nelle mani di un altro Stato miliardi di titoli di Stato italiani (solo la cessione di Generali, si legge nella relazione, permetterebbe ad Axa di detenere il 3,5% del debito pubblico) è un rischio da scongiurare a tutti i costi.

Il monito del comitato di raccordo fra Parlamento e intelligence ha suscitato reazioni opposte fra gli addetti ai lavori. Per Angelo De Mattia, economista, già direttore centrale della Banca d’Italia, le informazioni citate nel rapporto non sono sufficienti per lanciare un altolà a Unicredit e Generali. “Molto di quanto viene ricordato è noto a tutti, lippis et tonsoribus” dice a Formiche.net.

“Faccio una premessa. Se di questa materia si interessa il Copasir, un organismo preposto alla sicurezza nazionale, dobbiamo ritenere che abbia elementi ulteriori alle voci di mercato. Eppure diverse notizie segnalate nel rapporto sono di pubblico dominio”. Ad esempio, spiega De Mattia, il passaggio in cui il comitato presieduto da Raffaele Volpi ricorda come Unicredit “avrebbe in animo una profonda ristrutturazione, che prevede la costituzione di una subholding nella quale dovrebbero essere incluse tutte le attività estere della banca”. “L’ipotesi di una subholding per le partecipazioni estere è su tutti i giornali. Ma dalla costituzione di una simile struttura a minare la tutela degli interessi del Paese ce ne vuole. Si può non condividere l’operazione, non per questo va contrastata”.

De Mattia esprime gli stessi dubbi sulla parte del documento che segnala il disimpegno di Unicredit dall’Italia. I numeri di certo non mentono. Il piano industriale Team23 presentato a giugno dall’ad Jean-Pierre Mustier si concretizza nel taglio “di circa 8.000 dipendenti, principalmente in Italia (circa 6.000) dove il personale verrà ridotto del 21 per cento, e la chiusura di 500 filiali, di cui 450 nel nostro Paese”. “Anche qui, si può condividere o meno la gestione del capitale umano ma senza entrare nelle scelte dell’ad e degli azionisti. Gli organi di vigilanza e controllo parlamentare possono semmai esercitare una moral suasion. Lo Stato, se ritiene, ha gli strumenti per intervenire, a partire dal golden power”.

Quanto alle mire di Axa su Generali, De Mattia non sembra sorpreso. “Da quarant’anni si dice che le Generali possano essere attaccate da una più grande assicurazione estera. Non è mai avvenuto”. Ci fu un solo attacco, spiega l’economista. “A inizio anni 2000, partiva da una cordata italo-francese, che fu fermata sul nascere dall’intervento di alcune grandi banche, fra cui proprio Unicredit, e da una dura dichiarazione di Bankitalia”.

Se il Leone di Trieste è così appetibile, chiosa l’economista, qualche responsabilità ce l’ha. “Aiutati che Dio ti aiuta. Gli azionisti non possono stare con le mani in mano. Ricordo che agli inizi degli anni 2000 l’ex presidente Antoine Bernheim diceva che serviva un aumento di capitale. Sono passati 17 anni e ancora non ce n’è traccia”.

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