Il premier Conte “irato” per lo smacco di Merkel e Macron sull’accordo Ue-Cina. Il sottosegretario Scalfarotto parla di sconfitta per l’Italia. Ma con l’arrivo di Biden rimanere in secondo piano in questo negoziato può rivelarsi una mossa saggia…
Molti nella “bolla di Bruxelles”, soprattutto i più scettici verso l’accordo sugli investimenti tra Unione europea e Cina, ieri facevano notare l’enfasi data dalla Commissione europea e dal Consiglio europeo alla presenza della cancelliera tedesca Angela Merkel e del presidente francese Emmanuel Macron alla videoconferenza con il presidente cinese Xi Jinping che ha suggellato l’intesa dopo 7 anni e 35 round di trattative.
Alcuni rimarcavano una contraddizione dell’esecutivo comunitario in particolare: dopo aver passato gli anni dei negoziati sulla Brexit a pretendere che il Regno Unito dialogasse solo ed esclusivamente con il caponegoziatore Michel Barnier per evitare frammentazioni tra i 27 Stati membri, ecco che, per dirla con le parole usate dal vicepresidente del Parlamento europeo Fabio Massimo Castaldo (Movimento 5 stelle) in un’intervista con Formiche.net, “il format franco-tedesco ha preso ancora una volta le luci della ribalta anche nella sua conclusione, in modo improprio tra l’altro, scavalcando di fatto gli altri 25 Stati membri, che pur avevano manifestato alcuni importanti distinguo, ma soprattutto l’unico organo direttamente eletto dai cittadini dell’Unione europea”.
In tutto questo viene da domandarsi: e l’Italia? Nelle discussioni al Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) il nostro Paese era tra quelli che chiedevano maggiore trasparenza, invitando Parigi e Berlino a condividere le bozze dell’intesa con le altre capitali. Niente da fare.
Ieri il professor Carlo Pelanda spiegava a Formiche.net le ragioni della passività italiana in questo negoziato guidata dalla Germania e, “obtorto collo”, dalla Francia: hanno pesato il rapporto tra la nostra industria e quella tedesca sotto “ricatto” di Xi e la penetrazione francese e cinese nel nostro sistema politico, diceva.
Oggi Repubblica racconta di un presidente del Consiglio Giuseppe Conte “estremamente irato per lo smacco” di Merkel e Macron. In particolare per la presenza del secondo: infatti, la cancelliera tedesca ha potuto presenziare alla videoconferenza in qualità di presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea; il presidente francese, invece, ha infranto il protocollo europeo con la sua presenza.
Insoddisfazione trapela anche dall’intervista al Corriere della Sera di Ivan Scalfarotto, sottosegretario agli Esteri, “uomo di riferimento del governo su questo fronte” come spiega bene il quotidiano di via Solferino. “Un’intesa con luci e ombre”, spiega il deputato di Italia Viva parlando di “grande sorpresa” per il formato “irrituale” scelto: “Avere Macron, la scelta di un solo Paese sugli altri 26, non credo si giustifichi”. Per l’Italia è “una sconfitta”, aggiunge Scalfarotto, e “ci dice che quello sciagurato accordo sulla Via della Seta che il precedente governo ha concluso nel 2019 è stato un fallimento completo”.
Un flop commerciale certificato dal rapporto La Cina: sviluppi interni, proiezione esterna, realizzato dal Torino World Affairs Institute per l’Osservatorio di politica internazionale, in cui si legge che “se la logica italiana alla base della firma dell’accordo sulla Via della Seta era l’auspicio di un aumento dei rapporti commerciali ed economici, si può dire che a 18 mesi di distanza il calcolo si è rivelato quantomeno ottimistico, se non del tutto fallace”. Perfino l’ambasciatore Piero Benassi, consigliere diplomatico del presidente Conte, in una recente conversazione con Formiche.net ha parlato di “vantaggi limitati” della firma di quel Memorandum d’intesa con Pechino.
Ma il fallimento è anche politico, come spiega il sottosegretario Scalfarotto: aderire alla Via della Seta “non ci ha dato neanche la credibilità per essere leader in questa negoziazione”.
Tuttavia, non tutto il male viene per nuocere (almeno si spera). Sull’accordo tra Unione europea e Cina si teme una reazione degli Stati Uniti, che dopo gli sbuffi di Joe Biden, soltanto ieri (amministrazione Trump) hanno varato nuovi dazi d’importazione sulle merce prodotte in Francia e Germania, nel contesto delle dispute commerciali in atto tra le due sponde dell’Atlantico sui colossi aerospaziali Boeing e Airbus. L’Italia è rimasta fuori dalla nuova tranche di sanzioni.
La percezione statunitense sembra preoccupare il sottosegretario Scalfarotto, che dice: “Voglio sperare che non lo considerino uno sgarbo: abbiamo enorme bisogno di recuperare un rapporto transatlantico forte, non dobbiamo perdere l’occasione di lavorare con Biden”. Ma anche il vicepresidente Castaldo, che nell’intervista con Formiche.net, oltre a sottolineare le perplessità del Parlamento europeo chiamato ad approvare (o bocciare) l’accordo si è domandato se l’Unione europea non stia “correndo il pericolo di intaccare la fiducia e la volontà di Biden di tornare a scommettere fortemente sull’asse” transatlantico, che definisce una “visione che personalmente reputo fondamentale e imprescindibile”.
Come ha illustrato Dario Cristiani in un’analisi per l’Istituto affari internazionali e il German Marshall Fund, dopo lo “shock” della Via della Seta, “il modo in cui Roma gestirà i suoi rapporti con Pechino rimarrà centrale nella percezione degli Stati Uniti, anche sotto un’amministrazione democratica”. Inizialmente il Partito democratico “sarà ancora più centrale di quanto non sia stato finora nel definire i rapporti con gli Stati Uniti, non solo per le opinioni comuni e una cultura politica condivisa, ma anche per l’intensità dei rapporti personali tra di esso e i democratici americani”, nota l’esperto facendo esplicito riferimento al ministro della Difesa Lorenzo Guerini e a quello degli Affari europei Enzo Amendola.
Allo stesso tempo, continua Cristiani, rimane “anche se attenuato, l’ethos anti-establishment del Movimento 5 Stelle”, visto a Washington “come antitetico all’approccio più tradizionalista alla politica estera che probabilmente adotterà l’amministrazione” Biden. “La percezione negli Stati Uniti” è che il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e il presidente Conte “non siano effettivamente rappresentativi del Movimento”, prosegue. “Il loro crescente atteggiamento atlantista è visto più come il risultato di scelte personali piuttosto che come il risultato di uno spostamento strutturato del Movimento 5 stelle”. Ecco perché “questa convergenza ha dissipato i timori di ambiguità a breve termine, ma non le preoccupazioni per le posizioni più ampie del Movimento 5 stelle riguardo alla Cina e ad altri dossier”, conclude l’esperto.