Sconto tra Haftar e Turchia. I ribelli libici sequestrano un cargo turco, Ankara minaccia “azioni pesanti”. La vicenda ricorda vagamente quella che riguarda i 18 marinai delle due imbarcazioni italiane partite da Mazzara del Vallo
Il cargo turco “Mebrouka” è stato messo sotto sequestro dalle autorità della Libia orientale. Le forze guidate dal miliziano ribelle Khalifa Haftar lo hanno fermato domenica con l’accusa di essere “entrata nella zona di esclusione” e aver “ignorato gli appelli di intimidazione della guardia costiera libica”. La guardia costiera di cui si parla nel virgolettato, che è del portavoce di Haftar, non è quella riconosciuta dalla Comunità internazionale e assistita dall’Italia, ma si tratta di unità di vedetta che fanno parte delle forze della Cirenaica. Le stesse forze che – con il sostegno di Emirati Arabi, Egitto e Russia – il 4 aprile del 2019 avevano lanciato un attacco contro il governo onusiano di Tripoli, il Gna, per prendere la capitale e l’intero paese.
Quell’attacco a giugno di quest’anno è stato definitivamente respinto dalle unità del Gna che anno ricevuto un appoggio diretto e concreto dalla Turchia. È per questa ragione che mentre forniva dichiarazioni sulla vicenda del cargo, quel portavoce haftariano – prontamente ripreso dai media del Golfo che osteggiano Ankara – ricordava “di essere in guerra aperta con la Turchia in Libia”. Una guerra che non riguarda soltanto Haftar, ma ha altre due direttrici: la prima è la faglia intra-sunnita tra Ankara e i regni del Golfo, soprattutto gli Emirati Arabi, mentre l’Arabia Saudita ha avviato un pragmatico processo di riavvicinamento tattico; la seconda riguarda la coopetition tra Russia e Turchia che come in altri teatri (Siria o Nagorno Karabakh) porta a una sorta di scontro-accordo tra i due attori.
La nave turca non trasportava niente di sospetto per stessa ammissione del portavoce haftariano, ma era “ricercata”. Dalla Cirenaica e dai suoi sostenitori è stata individuata come uno dei vettori con cui la Turchia ha trasferito armi in Tripolitania (per “tre volte”, dice quel portavoce). Era entrata in una “zona di operazioni militari” nella regione di Ras Al-Hilal, secondo gli haftariani, e per questo è stata rimorchiata in porto. Il suo equipaggio è composto da 17 persone, di cui nove marinai turchi, 7 indiani e uno dell’Azerbaijan. La Turchia ha denunciato “con forza” il sequestro, chiedendo di liberare subito i membri dell’equipaggio pena “gravi conseguenze”. Le forze di Haftar saranno “obiettivi legittimi”, ha detto il ministro degli Esteri turco, chiedendo che “vengano prese misure per garantire che la nave turca riprenda il suo viaggio”.
La vicenda ricorda vagamente quella che riguarda i 18 marinai delle due imbarcazioni italiane partite da Mazzara del Vallo e tenuti sotto sequestro dalle forze di Haftar dal primo settembre. I libici – che hanno imposto all’Italia una sorta di ricatto/scambio di prigionieri – hanno denunciato anche in quel caso violazioni territoriali. Sebbene contro le navi italiane non ci siano accuse di aver favorito traffici di armi, il tema di fondo è simile: Haftar non ha intenzione di tirarsi indietro, e anzi – davanti alla possibilità che la sua figura possa essere riqualificata nel procedere dei negoziati – alza la posta. Le mosse contro Turchia e Italia sono rappresaglie contro due nazioni che considera ostili perché sostengono il Gna; i primi militarmente, Roma politicamente. Il fatto riguardo alla vicenda italiana è che mentre per Ankara Haftar non è mai stato parte del dialogo libico, e dunque le azioni rientrano tra gli atti di ostilità bilaterali, dal governo italiano il ribelle dell’Est libico è tutt’ora considerato “un interlocutore”.