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Terre rare e high-tech, i rischi della nuova legge sull’export cinese

Stretta cinese sull’export. Una nuova legge (in vigore da oggi) regola l’esportazione di materiali e tecnologie sensibili, richiedendo alle compagnie coinvolte e ai consumatori esteri piena conformità alle prescrizioni previste: in caso contrario, scatteranno penalizzazioni. L’ombra sulle restrizioni all’export dei metalli rari si allunga

Un’importante accelerata alla guerra commerciale e tecnologica tra Stati Uniti e Cina la imprime oggi l’entrata in vigore della Export control law (Ecl), varata lo scorso ottobre dal Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo cinese. Si tratta della risposta simmetrica che Pechino ha deciso di implementare per rispondere all’offensiva dell’amministrazione Trump sul fronte tecnologico, come riportato da Formiche.net.

La legge consentirà a Pechino di tutelare “la sicurezza nazionale e gli interessi” del Paese, rafforzando la base giuridica per imporre severe restrizioni all’export di beni o servizi ritenuti sensibili. A rientrare in questa “lista” di prodotti sottoposti a maggior scrutinio potranno essere prodotti dual-use (applicazioni civili e militari), nucleari, e in generale tecnologie ritenute essenziali per la sicurezza della Cina. Non si tratta tuttavia di una lista “esaustiva” dal momento che i dipartimenti del Consiglio di Stato e della Commissione militare centrale potranno via via aggiornarla o sottoporre un controllo più stringente prima di decidere se o meno tali prodotti siano da includere nella lista. In questo caso, saranno i dipartimenti per il controllo sull’export a stabilire la concessione delle licenze per il commercio estero.

Una sorta di provvedimento speculare a quanto già posto in essere negli ultimi mesi dal dipartimento del Commercio statunitense nei confronti di Huawei e altre compagnie cinesi come Semiconductor Manufacturing International Corporation. Infatti, i criteri seguiranno ragioni di interesse e sicurezza nazionale, la destinazione geografica e la natura del prodotto o servizio, il suo utilizzo finale, il record degli operatori coinvolti e infine le normative vigenti a livello domestico e internazionale.

L’Ecl non ha stabilito obiettivi precisi, dal momento che né gli Stati Uniti né gli alleati europei vengono menzionati. Tuttavia, qualora giungessero minacce da parti terze alla sua sicurezza nazionale, “la Repubblica Popolare cinese potrà prendere misure reciproche contro quel Paese o regione”. Come aveva osservato il drettore del Mercator Institute for China Studies Mikko Huotari, questa legge “molto probabilmente creerà difficoltà sostanziali alle compagnie europee: gli Stati Uniti, la Cina e l’Unione europea stanno intensificando i loro regimi di controllo sulle esportazioni, il che aumenterà i costi per conformarsi alle normative e richiederà un monitoraggio più attento in questo nuovo scenario strategico”.

Rimane il dubbio su come e quando la Cina deciderà di ricorrere a questo nuovo impianto normativo. Se da una parte si tratta di una risposta per tutelarsi di fronte alla crescente assertività americana, dall’altra è probabile che Pechino abbia deciso di preparare il terreno per la weaponization delle sue carte commerciali. Già Dla Piper, agenzia di consulenza legale multinazionale, aveva osservato come la versione finale della nuova normativa avesse rimpiazzato “sicurezza nazionale” (utilizzata in bozze precedenti) con “sicurezza nazionale ed interessi” della Repubblica popolare cinese, dunque allargando il terreno legale su cui giustificare i possibili controlli sull’export. Tra i prodotti che potrebbero rientrare all’interno del regime di restrizioni le terre rare, le cui applicazioni in molti settori industriali, dalle tecnologie rinnovabili passando per i sistemi d’arma, e la forte dipendenza di Stati Uniti e Unione europea da Pechino suggeriscono rischi elevatissimi per il mercato di queste commodity, come niobio, titanio, tungsteno, cobalto e antimonio. Senza dimenticare le joint venture e gli accordi di R&D che legano molte delle aziende ad alto contenuto tecnologico operanti in Cina, tra cui 5G, artificial intelligence e Uav.

Nel caso dei metalli rari, il mercato sembra aver reagito istintivamente ai primi segnali in questa direzione. I prezzi dei magneti di terre rare, una delle filiere industriali sotto il controllo della Cina, secondo gli analisti sarebbero schizzati tanto per la crescente domanda quanto per i rischi connessi alla Ecl. Il prezzo di uno dei tre elementi cruciali per i magneti, il terbio, sarebbe aumentato del 26% questo mese (932 dollari al chilogrammo), il più alto registrato dal 2012. Stessa sorte per i prezzi di praseodimio, neodimio e disprosio che avrebbero toccato il picco degli ultimi tre anni tra mercoledì e giovedì. Anche il Global Times ha riportato in settimana una crescente volatilità sui mercati, citando tra le cause principali possibili restrizioni all’export da parte delle autorità cinesi. “Giappone, Stati Uniti e i Paesi europei stanno comprando ingenti quantità di terre rare perché li necessitano per la produzione di manifatture avanzate, temendo che troveranno difficile importarti dalla Cina dopo che le nuove normative entreranno in vigore”, ha commentato Zhou Shijian, ex vicepresidente della Camera di commercio cinese per i metalli e i minerali al quotidiano cinese. Inoltre, Zhou ha specificato che Pechino potrebbe utilizzare le terre rare come “strumento di rappresaglia” nei confronti delle restrizioni americane sui chip a Huawei. Uno scenario previsto a giugno da uno report compilato da Horizon Advisory, società di consulenza indipendente, come riportato da Formiche.net.

Una preoccupazione che è condivisa tanto dal settore privato quanto dai policymaker occidentali per un’offerta ancora troppo poco diversificata dai player cinesi. In particolare, gli industriali nel settore automotive, visto l’utilizzo intensivo di neodimio e disprosio nei motori dei veicoli elettrici. Secondo uno studio della banca d’investimenti Ubs, la crescita del mercato Ev indurrà un raddoppio dei prezzi degli ossidi di NdPr entro il 2024. Per incontrare la domanda di solo questo mercato (ciascun veicolo elettrico richiede cinque volte la quantità di terre rare rispetto ai motori a combustione) l’offerta dei due metalli dovrà triplicare entro il 2030.

L’aumento progressivo dei prezzi ha indotto ad ottime performance finanziarie alcuni player strutturati sul mercato, come Lynas Corporation in Australia e MP Materials negli Stati Uniti, che rimangono ad oggi i due più grossi fornitori di terre rare fuori dalla Cina, seppur non abbiano ancora sviluppato asset nella processazione degli ossidi – step dominato dalle sei grandi State-owned enterprise cinesi. L’americana Mp ha tuttavia incassato nuovi fondi dal Pentagono questa settimana per ricreare una filiera mine-to-magnet al servizio della sicurezza nazionale. L’andamento a salire dei prezzi risulta inoltre un ottimo incentivo per gli investimenti, come dimostrano i 30 milioni di dollari assicurati a un sito d’estrazione in Groenlandia da un consorzio di investitori istituzionali americani, europei ed australiani. “Kvanefjeld Rare Earth è un progetto unico su scala globale e in termini di composizione metallurgica, a basso costo e dalle ampie disponibilità, di terre rare critiche”, ha commentato il direttore del progetto, ritenendo l’isola danese autonoma “ben posizionata per essere un fondamento di una futura supply chain internazionale delle terre rare”.

Sul lato istituzionale, l’Unione europea procede spedita con l’implementazione dell’European Raw Materials Alliance lanciata lo scorso settembre. “Senza un accesso affidabile e sostenibili ai metalli rari” ha rimarcato Bernd Schäfer, Ceo del consorzio europeo Eit Raw Materials, “sono in gioco il Green Deal e la competitività dell’Ue. L’obiettivo principale di Erma è di assicurare i rifornimenti di questi materiali all’Europa selezionando le opportunità d’investimento per un accesso sostenibile e socialmente responsabile in Europa da fonti primarie e secondarie”. In uno scenario con possibili restrizioni da parte della Cina lungo l’intera filiera, questi sforzi diventano ancor più vitali per garantire la diversificazione di una supply chain ormai difficilmente impermeabile da un contesto di crescente sfiducia e competizione geopolitica. Inoltre, i nuovi piani quinquennali di Pechino per “le industrie strategiche emergenti” sembrano suggerire un crescente appetito per il consumo domestico e un ricorso massiccio all’importazione dall’estero come dimostra paradossalmente, visto il clima di tensioni, l’aumento dell’import dagli Stati Uniti a ottobre rispetto allo stesso periodo nel 2019.

Questo processo di “modernizzazione delle supply chain industriali” cinesi significherà “meno esportazioni di materie prime, incluse le terre rare, e un corrispondente aumento dell’export di prodotti a più alto valore aggiunto, il che contribuirà ad alzare i prezzi” ha osservato Zhou Hongchun, ricercatore dello State Council, sul Global Times. Quali saranno davvero gli obiettivi a lungo termine dietro la nuova legge – se una tutela dell’industria domestica in un contesto sempre più ostile per il commercio globale o una forma di rappresaglia nei confronti di Washington – e gli effetti sul mercato lo vedremo con tutta probabilità nelle prossime settimane.

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