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Ecco come Pechino protegge il Mar Cinese. Le nuove unità anfibie

Pechino lancia nuove unità anfibie e le invia subito nel Mar Cinese per dimostrare la propria capacità di azione militare in un bacino sempre più sensibile e dove l’ingaggio con gli Stati Uniti è cresciuto nel 2020 (secondo un’analisi del Amti-Csis)

Mentre tra i cieli del Mar Cinse si muoveva la sinergia russo-cinese – su cui i primi sono sempre guardinghi perché non si fidano degli altri – la seconda unità da assalto anfibio “Type 075” del Dragone è stato fotografata dai residenti locali mentre lasciava il cantiere navale Hudong Zhonghua, vicino al fiume Huangpu a Shanghai, e prendeva la via di navigazione verso le acque orientali del bacino di cui Pechino pretende sovranità praticamente assoluta.

La portaelicotteri da sbarco è partita per un viaggio di prova: è stata varata il 22 aprile, dunque significa che l’allestimento è proceduto in fretta se ha già preso il largo per un primo dispiegamento. L’unità fa parte di una flottiglia anfibia che la Cina sta costruendo con rapidità anche come messaggio politico estremo: appena un anno fa, il Pentagono evidenziava che i mezzi anfibi sono ciò in cui l’arsenale del Partito/Stato era più carente, ora in programma c’è la produzione di nove piattaforme Typ 075 e l’addestramento di nuovi 35 mila Marines.

Servono innanzitutto per esercitare sufficiente e realistica deterrenza su Taiwan – nazione che l’ideologia del Partito considera una provincia ribelle da riannettere anche con la forza e attorno a cui si muovono anche segmenti del confronto con Washington. Ma sono anche utili per dimostrare la capacità di azione tra le acque contese del Mar Cinese, dove Pechino vuol far capire a tutti i contendenti che può rapidamente sbarcare migliaia di soldati tra gli isolotti contesi.

La Cina non molla di un millimetro le sue ambizioni egemoniche nella regione, argomento diventato da tempo un altro dei segmenti di confronto con gli Stati Uniti, che non perdono occasione invece di rivendicare come quelle acque non siano cinesi ma internazionali e dunque soggette a libertà di navigazione. Nei giorni scorsi il cacciatorpediniere lanciamissili classe Arleigh Burke “USS John McCain” ha solcato le acque delle Spratly – isolotti dell’area contesi e militarizzati dalla Cina –  secondo le missioni ripetute che il Pentagono definisce Fonop, acronimo di libera navigazione.

Dimostrare che quelle acque sono libere serve per ricordare alla Cina che l’Impero Celeste è imperfetto e ha attorno ai propri confini enormi problematiche. Lo stesso vale con Taiwan ed è qualcosa del tutto simile alle varie crisi interne, come Hong Kong o lo Xinjiang. Secondo un recente studio dell’Asia Maritime Transparency Initiative del Center for Strategic and International Studies (AMTI-CSIS) di Washington la Guardia costiera cinese ha dispiegato navi quasi quotidianamente nel 2020, proprio come l’anno scorso. Mentre gli Stati Uniti hanno aumentato il peso della loro retorica e della loro attività nella regione.

Il 13 luglio per esempio, il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha gelato la Cina dichiarando quasi tutte le pretese di sovranità nella regione “completamente illegali”. Il livello di ingaggio reciproco sta salendo: basta considerare che la McCain nel suo ultimo tour è stata costantemente shadowed da una nave da guerra cinese (shadowed è il termine tecnico con cui si identifica l’attività di fare da ombra, armati, a un altro equipaggio: è comune ma non del tutto scontato). La mattina del 23 dicembre due B-1B americani sono partiti dalla base Andersen Air Force di Guam e hanno viaggiato sopra alle isole Paracel del Mar Cinese scortati da 4 F-16: due caccia da superiorità aere J-11 della Marina cinese si sono subito alzati in volo dalla base aerea che Pechino ha costruito a Woody island, un altro isolotto conteso, e hanno scortato la squadriglia americana.


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