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Tutto fermo per le navi italiane bloccate dalla Cina. La partita è politica

Perché alcune navi napoletane sono bloccate davanti alla Cina? Protocolli Covid, diritto marittimo commerciale, e soprattutto lo scontro geopolitico tra Pechino e Canberra. Per Roma la partita è tutta politica, da sbloccare attraverso le relazioni internazionali create col governo cinese

Quando Formiche.net ha chiesto informazioni riguardo alla situazione della “Mba Giovanni”, una bulk carrier italiana bloccata davanti al porto cinese di Huanghua, la risposta ricevuta da una fonte del governo informata sul dossier diceva che “la situazione è ferma” – “Confermiamo quanto scritto nell’articolo del Corriere della Sera“. Era il 5 dicembre: oggi la situazione è identica, ma senza risposte. Quell’articolo del CorSera era firmato da Stefano Rodi, uscito il primo dicembre. Nel pezzo si citava l’ammiraglio Luigi Giardino, responsabile della Guardia costiera italiana per la sicurezza in mare di navi e marinai, punto di riferimento per quelle persone intrappolate a bordo. E si parlava delle attività in corso da parte della Farnesina, che aveva affrontato la questione in un vertice Roma-Pechino, con la pratica che era stata istruita attraverso l’ambasciata.

La Mba Giovanni, il cui armatore ha denunciato sul Mattino di essere stato lasciato dal governo italiano in balia della situazione, non è sola: insieme c’è la “Antonella Lembo”, nave identica anch’essa bloccata davanti alle acque dello scalo portuale nel Golfo di Bohai. Le regole di profilassi anti-Covid sono il problema ufficiale che impedisce lo sbarco dei marinai, che sono dentro da mesi e mesi (alcuni da oltre un anno, con storie personali toccanti come quelle di coloro che non hanno potuto ancora vedere i propri figli, nati mentre erano in mare). Secondo fonti non verificabili, ci sono altre due navi italiane, ma finora sono le due sopracitate, entrambe napoletane, ad attirare l’attenzione perché entrambe – più che per il Covid – sono bloccate per il carico che trasportano. Si tratta di tonnellate di carbone australiano, che i due cargo dovevano portare in Cina, ma Canberra e Pechino sono in crisi profonda e così le imbarcazioni italiane sono finite in mezzo alla diatriba.

Il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, in una dichiarazione uscita sul Mattino dice d’aver autorizzato l’avvicendamento del personale “sin dallo scorso 16 ottobre”. Per lo scambio si dovrebbe usare il porto internazionale di Tianjin, che si trova a 15 miglia nautiche dalla nave e che il governo cinese ha individuato per questi scopi – attrezzato con misure anti-epidemia. Ma esistono due problematiche che rendono l’autorizzazione della Farnesina pressoché inutile: la prima tecnica, perché lo sbarco non garantisce l’ingresso di un nuovo equipaggio, visto le iper-stringenti regole anti-Covid cinesi; la seconda è legale: spiega a Giulia Pompili del Foglio l’armatore della Lembo che secondo le regole del diritto internazionale, lo sbarco metterebbe a rischio il capitano e l’equipaggio, che potrebbero essere addirittura accusati di violare gli ordini di consegna “perché di fatto è come se stessero rubando il carico”, dice.

La pandemia è più che altro una scusa, perché al di là dei cavilli legali e normativi, la partita in atto è molto complicata: ha dimensione geopolitica, e Roma per sbloccarla deve cercare leve politiche nei confronti di Pechino, che a sua volta non ha remore a usare le due imbarcazioni italiane nello scontro in atto con Canberra. Per esempio, per quanto noto le autorità cinesi avrebbero permesso lo sbarco di un cargo sudcoreano e uno greco, entrambi attraccati a Huanghua. Teoricamente il governo italiano ha buone relazioni con Pechino; l’Italia è l’unico paese del G7 che ha aderito alla Via della Seta (maxi infrastruttura geopolitica in calo di finanziamenti e spin). Lo scorso novembre è ricorso il cinquantesimo anniversario dall’avvio delle relazioni diplomatiche tra Italia e Cina. Basterà per riportare a casa quei marittimi?



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