La Cina è davanti a un incrocio: accrescere la propria dimensione di potenza può significare aumentare i propri coinvolgimenti. Conversazione con Ghiselli (Fudan Un./China Med)
Il Marocco ha accettato la normalizzazione dei rapporti con Israele secondo una forte volontà diplomatica americana. Nel frattempo, come gli Emirati Arabi (già normalizzati con lo stato ebraico e già dentro il quadro degli Accordi di Abramo insieme ad altri paesi) anche Rabat ha deciso di acquistare il vaccino anti-Covid dell’azienda cinese Sinopharm. E dunque, considerando che sul vaccino c’è una competizione geopolitica — dove Washington spinge per i suoi prodotti (come quelli di Pfizer e Moderna), e il presidente statunitense chiama ancora SarsCov-2 “il virus cinese” — pare che Pechino sia comunque in grado di mosse di persuasione molto consistenti su importanti alleati americani.
Il vaccino è un’esigenza, magari, ma quanto è attraente la Cina per i paesi dell’area MENA “”Occorre partire dal fatto che la Cina ha, e vuole investire, molte meno risorse degli Stati Uniti nel Mediterraneo allargato per alimentare la propria influenza”, risponde a Formiche.net Andrea Ghiselli, assistant professor alla Fudan University di Shanghai e responsabile alla ricerca del ChinaMed Project del TOChina Hub. Cioè? “La Cina può investire, comprare petrolio, offrire aiuti sanitari e vendere il vaccino, ma gli Stati Uniti hanno una presenza molto più solida e radicata, soprattutto, ovviamente, in termini militari; e hanno molte meno remore (soprattutto con Trump) a schierarsi nelle dispute regionali”.
Secondo Ghiselli, il fatto che alcuni paesi stiano acquistando il vaccino cinese è un importante segno di fiducia nei confronti della Cina, da non sottovalutare: “Quanti più paesi seguiranno gli Emirati Arabi e il Marocco, tanto più sarà evidente un’eventuale crescita dell’influenza cinese. Tuttavia non credo si possa e si debba necessariamente parlare di un gioco a somma zero fra influenza cinese e americana”. Non una polarizzazione netta: perché? “Molti paesi della regione — risponde il docente — non la vedono così, bensì, guardano alla Cina come un partner principalmente economico (anche se il suo seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è un fattore importante) e agli Stati Uniti come un (eventuale) partner strategico, e cercano di massimizzare i vantaggi che possono avere cooperando con entrambi in aree diverse. Quindi, per tornare alla domanda, la Cina è attraente nella regione. Aggiungerei che lo è tanto quanto ha bisogno di esserlo per i suoi obiettivi ed interessi, che sono più limitati di quelli statunitensi”.
Per molto tempo abbiamo pensato che uno degli strumenti di aggancio che la Cina ha sia la Belt & Road Initiative, eppure il Financial Times ha recentemente fotografato un calo degli investimenti (che è stato registrato già in epoca pre-pandemica) e pare altrettanto chiaro che Pechino abbia altri strumenti per muovere la sua influenza, come il vaccino d’altronde. Focalizzandoci sul Mediterraneo, come sta giocando le sue carte il Partito/Stato cinese? “Il calo degli investimenti — risponde ancora Ghiselli — è uno sviluppo importante anche se è difficile dire al momento se e come abbia cambiato il modo in cui i paesi della regione guardano alla Cina. La ricerca sui media pubblicati nella regione, condotta dal gruppo di ricerca del progetto ChinaMed,non registra cambiamenti circa il fatto che per Pechino la forza della propria economia rimane un elemente di grande attrattività. Inoltre, c’è da considerare un’altro fattore esogeno alla Cina, che la aiuta quantomeno a preservare la propria influenza”.
Qual è? “Il moltiplicarsi di crisi regionali. Oltre ad essere il principale partner commerciale di buona parte dei paesi nella regione, la Cina, con il suo potere di veto alle Nazioni Unite, è un heavyweight diplomatico, e quindi è naturale che la sua posizione sia tenuta in grande considerazione, indipendentemente dal fatto che Pechino non appaia interessata a farsi coinvolgere”.
Sebbene in generale un cambiamento particolare nel comportamento cinese nella regione MENA sia improbabile, Pechino — per le ragioni appena dette — è un attore di rilievo nell’area. Il 15 dicembre il King Faisal Center e Middle East Institute dell’Università di Singapore organizzano un panel riguardo all’inserimento della Cina nelle modifiche all’architettura di sicurezza mediorientale. Ghiselli, uno dei relatori, spiega il ruolo cinese: “La Cina si trovo ad un incrocio. Finora ha giocato un ruolo soprattutto indiretto in termini di sicurezza regionale. Da un lato gli investimenti e più che altro l’acquisto di petrolio hanno sicuramente aiutato i paesi della regione economicamente. E ciò non può non essere visto anche in chiave di stabilità sociale nel post Primavere arabe. I vari paesi del golfo, che poi ridistribuiscono in parte ai propri alleati, si troverebbero in una situazione molto peggiore senza il mercato cinese. Dall’altro lato, la Cina ha avuto un ruolo, a volte di primo piano, in Siria e Iran, senza dimenticare i suoi peacekeeper in Libano e le navi nel golfo di Aden con base a Gibuti”.
Ora, perché la Cina sarebbe a un incrocio? Due elementi. Il primo è il fatto che c’è una presenza massiccia cinese in termini di investimenti e/o lavoratori nella regione e (come evidenzio anche in un articolo presto online nel China Quarterly) le compagnie cinesi in generale non sono avverse al rischio, per esempio spesso ignorano gli avvisi delle ambasciate circa il deterioramento della sicurezza dei paesi in cui sono. Quindi, la condizioni per cui una ‘Libia 2’, cioè il dover evacuare all’improvviso dei propri cittadini, sono ancora lì. In generale la diplomazia cinese rimane vulnerabile a shock regionali”.
Il secondo: “L’altro elemento è che vari attori regionali guardano alla Cina come un partner da cooptare nelle varie crisi della regione. Per esempio, i media siriani, iraniani e libanesi parlano spesso di un ‘asse della resistenza’ anti americano, anti israeliano e anti monarchie del Golfo di cui la Cina farebbe parte. È ovvio che non è vero, e che la Cina mira a mantenere buoni rapporti con tutti senza farsi coinvolgere in queste rivalità. Eppure non si deve sottovalutare il potere di queste narrazioni che circolano in arabo e farsi, influenzando l’opinione pubblica della regione e, nel caso siriano, anche quello occidentale, visto che è pieno di analisi online basate su fonti siriane in inglese in cui si descrive la Cina come un attore chiave in quel paese, pronto a ricostruirlo da cima a fondo”.
Sommare questi due fattori mette una pressione crescente sulla Cina, sebbene secondo Ghiselli Pechino non pare interessata a fare più di quello che già fa: eppure rischia di essere trascinata in questioni spinose senza volerlo. Il ruolo cinese nella regione è quindi in evoluzione, e questo rende complicato dire quale sia la direzione al momento “Sicuramente — chiude — siamo ben lontani dal vedere emergere un’architettura regionale guidata dalla Cina”.