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Ecco William Burns, il nuovo direttore della Cia visto da vicino (dall’Italia)

Un professionista della politica estera, bipartisan, interessato all’Europa: ecco chi è William Burns, il prossimo capo della Cia. A Formiche.net le opinioni dell’ex ministro Frattini e degli ambasciatori Castellaneta, Terzi e Valensise

William Burns, colui che David Ignatius sul Washington Post ha definito “il migliore diplomatico della sua generazione” e che il presidente eletto degli Stati Uniti Joe Biden ha scelto come prossimo capo della Cia, ha un buon rapporto con l’Italia. Non lo dimostra soltanto il fatto, raccontato da Formiche.net, che il presidente Sergio Mattarella l’abbiamo insignito del titolo di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana a inizio del 2017 (cioè al tramonto dell’amministrazione di Barack Obama, di cui Biden era vicepresidente) — e, tra l’altro, non è l’unico membro della prossima amministrazione a poter vantare questa onorificenza: anche Victoria Nuland, che sarà sottosegretario di Stato per gli Affari politici, ne fu insignita nel 2007, quando era ambasciatrice alla Nato.

A differenza di quanto accaduto durante il mandato di Donald Trump, il capo della Cia non sarà membro del cabinet. A raccontare a Formiche.net il legame speciale tra il nostro Paese e il prossimo capo dell’Agenzia sono quattro persone che l’hanno conosciuto e hanno lavorato con lui: l’ex ministro degli Esteri Franco Frattini; il suo successore alla Farnesina, Giulio Terzi di Sant’Agata, già ambasciatore d’Italia negli Stati Uniti; il predecessore di quest’ultimo a capo della più importante missione diplomatica, l’ambasciatore Giovanni Castellaneta; e l’ambasciatore Michele Valensise, già segretario generale della Farnesina. Il giudizio è unanime: “una scelta eccellente”, “un’ottima notizia”.

Burns, che oggi presiede il think tank Carnegie Endowment for International Peace, può vantare una carriera di 33 anni al dipartimento di Stato: è stato ambasciatore in Giordania (1998-2001), assistente segretario per il Vicino oriente (2001-2005), ambasciatore in Russia (2005-2008) per poi entrare nella prima amministrazione di Barack Obama in qualità di sottosegretario agli Affari politici prima e di vicesegretario di Stato poi. L’ambasciatore Valensise ricorda il suo “bellissimo libro” intitolato The Back Channel: A Memoir of American Diplomacy and the Case for Its Renewal: da quel volume emerge il ritratto “di una figura di diplomatico rigoroso e autorevole la cui competenza è riconosciuta da tutti, come dimostra il curriculum che lo vede impegnato in posizioni di vertice con amministrazioni sia repubblicane sia democratiche”. In sintesi, spiega l’ambasciatore Valensise, Burns è “un eccellente professionista della politica estera”.

Che significato ha la scelta di un diplomatico di lungo corso alla guida della Cia? L’ambasciatore Terzi — che ha conosciuto Burns quando era direttore politico alla Farnesina, poi ambasciatore a New York e Washington, infine ministro — sottolinea come la scelta di un diplomatico non sia “affatto atipica nella storia recete dell’intelligence Five Eyes: basti pensare all’MI6”, spiega. Infatti, a capo dei servizi segreti britannici per l’estero oggi c’è il diplomatico Richard Moore, già ambasciatore in Turchia.

Prima di lui, dal 2014 al settembre scorso, c’era lo 007 Alex Younger. Ma prima ancora, dal 2009, guidare le spie di Sua Maestà era toccato al diplomatico John Sawers, già rappresentante permanente alle Nazioni Unite e direttore per gli Affari politici al Foreign Office (posizione che corrisponde a quella occupata da Burns negli Stati Uniti). Per l’ambasciatore Valensise “c’è evidentemente una particolare sensibilità da parte di chi l’ha nominato per gli aspetti di equilibro strategico-diplomatico, non soltanto per quelli legati alla sicurezza in senso stretto. Oggi, infatti, la sicurezza globale non è soltanto una questione securitaria, ma tocca aspetti altrettanto importanti come le scelte politiche, la diplomazia, le alleanze internazionali e i rapporti economici”.

Frattini sottolinea, invece, come, dopo un grande passato da diplomatico, Burns si sia dedicato all’analisi. “Mi aveva colpito molto un suo articolo dello scorso autunno in cui spiegava l’importanza di spiegare la nuova politica estera e riconnettersi con la classe media”. Burns — che Frattini ricorda soprattutto per il ruolo svolto tra 2010 e 2011 in occasione delle Primavere arabe in Egitto e Libia — è “una persona in grado di analizzare e avere quell’equilibrio che sarà fondamentalissimo per il presidente Biden per ripulire i molti pozzi avvelenati che Donald Trump gli sta lasciando. L’Iran, gli accordi di Abramo, la Turchia: alla Cia serve una persona che abbia capacità di analisi e visione”, aggiunge l’ex ministro. Sulla stessa linea, l’ambasciatore Terzi, secondo cui “la Russia (dove Burns è stato ambasciatore, ndr) sarà in cima all’agenda della Cia, dopo i tentativi di destabilizzazione che abbiamo visto ben evidenti durante l’amministrazione Trump”.

Per l’ambasciatore Castellaneta la ragione della scelta si riassume in una parola: realismo. “Burns, il segretario di Stato Antony Blinken e il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan formano un bel triangolo di professionisti con grande senso della diplomazia, di persone guidate da un approccio meno ideologico rispetto agli accessi dell’amministrazione Trump”. È grazie a scelte simili, continua l’ambasciatore, che Biden “potrà dedicarsi alle questioni interni sapendo di aver lasciato la politica estera in mano a persone che non gli creano sorprese”. Castellaneta sottolinea che Burns, “come Blinken d’altronde, è una di quelle personalità del mondo diplomatico di Washington sempre in contatto con le ambasciate, sempre molto aperta agli aspetti internazionali”. Ed è per questo, aggiunge, “che conosce bene l’Italia e se ne interessa”.

Il giudizio è unanime anche sulla vocazione atlantica del prossimo direttore della Cia. “In questa fase, la Cia ha bisogno di visione e analisi come mai”, spiega Frattini sostenendo che, proprio alla luce di questo, scegliere “un militare sarebbe stato sbagliato: il combattente in prima fila non serve più, soprattutto in tempi di cybersecurity”, aggiunge.

La priorità americana oggi, più che il confronto con la Cina, è la necessità di analizzare cosa resti del ruolo americano a cui il mondo era abituato: “Abbiamo bisogno che l’America faccia l’America, anche nel Mediterraneo”, conclude Frattini ricordando il legame tra Burns e l’Italia.

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