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Il 2021 di Roma tra sfide, inefficienze e nodi da sciogliere. Parla Delzio

Roma

Conversazione con il manager e scrittore Francesco Delzio che a febbraio sarà in libreria con il suo nuovo saggio dal titolo Liberare Roma (edito da Rubbettino). “Il profilo ideale del candidato sindaco? Un manager o un imprenditore, con doti politiche. Il modello è quello di Gabriele Albertini a Milano. Serve una partnership strutturale e continua tra pubblico e privato”

Il 2021, comunque vada, sarà l’anno della città eterna. E non solo perché nei prossimi mesi – in primavera o un po’ più tardi, se le elezioni dovessero slittare causa Covid – i romani saranno chiamati al voto per rinnovare il Campidoglio. Quest’anno ricorrono anche i 150 anni dall’istituzione della Capitale d’Italia a Roma. E poi il Giubileo del 2025, il secondo del terzo millennio, la cui organizzazione dovrà entrare nel vivo, per forza di cose, nei prossimi mesi. E ancora la candidatura a Expo 2030 che sarà ufficializzata, salvo ripensamenti, nel corso del 2021.

“Finalmente si è riaperto il dibattito pubblico su Roma come grande questione nazionale: una discussione che ha risvegliato idee, progetti e strategie, un senso di visione e di ambizione che francamente latitava da troppi anni”, ha commentato in questa conversazione con Formiche.net il manager, scrittore e docente Luiss Francesco Delzio, reduce da “La ribellione delle imprese“, che a inizio febbraio sarà ancora in libreria con il suo nuovo saggio dal titolo “Liberare Roma” (edito da Rubbettino). “Conterrà un vero e proprio piano strategico per provare a rilanciare la Capitale”, ha spiegato ancora Delzio, secondo il quale il 2020 si è concluso comunque con un segnale positivo: “L’ordine del giorno promosso da Fratelli d’Italia e poi approvato da tutte le forze politiche è certamente di buon auspicio. Dobbiamo sanare al più presto questa anomalia italiana: Roma è di fatto l’unica delle grandi capitali europee a non essere dotata di un ordinamento speciale, con budget ad hoc e poteri adeguati. È previsto dalla Costituzione, ma non è mai stato realizzato”. Nel 2021 ci sarà però anche da fare i conti con gli effetti economici e sociali della crisi innescata dalla pandemia, che qui – ha evidenziato Delzio – “sta producendo effetti ancor più impattanti rispetto al resto del territorio nazionale perché di fatto ha azzerato due dei grandi pilastri del sistema Roma: ovvero, il turismo e l’industria culturale. Due asset decisivi per la città eterna nell’era globale”.

Delzio, dunque il bicchiere di Roma è mezzo pieno o mezzo vuoto?

La ripartenza del dibattito su Roma, con il rinnovato interesse verso i destini della Capitale da parte della politica, dei media e dell’accademia a livello nazionale, ci proietta nel 2021 con un po’ più di ottimismo rispetto agli ultimi anni, caratterizzati dall’assenza di una qualsiasi iniziativa politica e intellettuale dedicata alla Capitale. Possiamo coltivare qualche speranza, ma a una condizione.

Quale?

Che si affrontino, coraggiosamente e rapidamente, i due buchi neri da cui è stata inghiottita negli ultimi anni la città eterna.

Il primo?

Il liquefarsi della classe dirigente romana, e non mi riferisco solo alla politica. Negli ultimi 10 anni abbiamo assistito non soltanto al fallimento della classe politica locale, ma anche al clamoroso disinteresse di tutti gli altri decisori privati e pubblici nei confronti di una città che affondava nel degrado e nell’inefficienza dei servizi pubblici locali. La prima vera condizione perché ci sia davvero una ripartenza, al di là dei poteri speciali, è che la classe dirigente economica, sociale e culturale torni a interessarsi a Roma del bene comune. Uscendo dal comodo rifugio dell’interesse particolare e personale.

E il secondo?

La questione drammatica del rapporto tra centro e periferia. Un’anomalia che non riguarda certo solo Roma – è tipica dello sviluppo urbano degli ultimi decenni – ma che nella capitale è ormai fuori controllo.

Una distanza incolmabile?

Di sicuro bisogna affrontarla subito nei termini di una grande emergenza, dopo decenni di totale inerzia, come emerge drammaticamente da una recente analisi basata sull’indice di sviluppo umano – uno strumento utilizzato dall’Onu per misurare la qualità della vita e il livello di benessere – applicato ai municipi di Roma. Lo studio dimostra che la differenza che passa tra il primo e il secondo municipio – i più ricchi di Roma, ossia il centro storico e i Parioli – e i più poveri, ovvero la zona Est e il litorale di Ostia, è paragonabile a quella esistente tra Paesi avanzati e Paesi in via di sviluppo. Vuol dire che non c’è più un sistema unitario. Si tratta di due mondi diversi che non si parlano più e che non hanno più nulla a che fare l’uno con l’altro, addirittura dal punto di vista degli standard economici e sociali. Una situazione gravissima. Inaccettabile.

C’è un tema di uguaglianza?

Direi di qualità della vita e opportunità, che sono ormai confinate nei quartieri bene della capitale e che sono del tutto assenti nella grandissima parte della città.

Un esempio?

L’emergenza giovani che purtroppo in pochi hanno messo a fuoco. La possiamo misurare attraverso il tasso di Neet, i cosiddetti inattivi che non studiano, non lavorano e non cercano neppure un impiego: a Roma è molto più alto della media nazionale e in fortissima crescita negli ultimi anni. E poi il livello medio di formazione dei giovani romani è troppo basso: quelli che accedono all’università e che completano il percorso di studi con successo sono un terzo della media dei pari età milanesi. Un’emergenza totalmente sepolta, nascosta, di cui non si parla e che è figlia di questo enorme gap tra centro e periferie.

A suo avviso negli ultimi anni a Roma è mancata una visione di lungo termine e ampio respiro?

Assolutamente sì, è prevalso quello che definirei il gestionismo più assoluto. Si è fatta largo l’idea che il sindaco debba semplicemente occuparsi dei servizi pubblici locali e dell’ordinaria amministrazione. Una visione in realtà non solo estremamente riduttiva ma anche anti-storica in un’era in cui la globalizzazione si muove per città-stato.

In che senso?

Come aveva già previsto e teorizzato Saskia Sassen, negli ultimi anni la competizione globale non si svolge più soltanto tra Paesi ma anche, e soprattutto, tra grandi città internazionali. Per questa ragione la governance – ossia il sindaco e la sua squadra – deve necessariamente porsi obiettivi di sviluppo, di crescita, di attrazione di capitali e di idee che tradizionalmente sono sempre spettati in misura quasi esclusiva agli Stati. Ma oggi non è più così, siamo di fronte a sfide che chiamano in causa direttamente le città e chi le amministra. Ecco, tutto questo a Roma manca clamorosamente e totalmente, e non da ora.

Delzio, dal punto di vista economico su quali punti di forza può fare leva Roma?

Penso innanzitutto alle grandi partecipate pubbliche i cui quartier generali sono ubicati nella capitale. È necessario che vi sia un rapporto strutturale tra le governance di questi campioni nazionali, la città di Roma e la Regione Lazio, in modo da promuovere investimenti, interventi e azioni sul territorio.

Qualche eccellenza dunque Roma la può vantare?

Certamente. Oltre all’industria turistica – al cui interno crescerà nei prossimi anni l’offerta “premium” grazie allo sbarco, in corso nel centro storico, di prestigiosi player internazionali – e alla gestione di un asset unico al mondo come il patrimonio culturale, che però ha bisogno di una imponente opera di digitalizzazione, non va trascurato il grande fermento del mondo dell’innovazione “dal basso” a Roma con i suoi record di start up e incubatori d’impresa, e il ruolo-chiave dell’industria. Penso alle possibilità di rilancio del Tecnopolo Tiburtino dove per esempio, di recente, è arrivata Aruba. Dobbiamo portare a Roma pezzi di industria ad alto valore aggiunto, ad esempio legata all’aerospazio, che rimane un’eccellenza romana. Per questo sono assolutamente d’accordo con l’idea di Unindustria di creare il Politecnico della capitale, per rispondere alle esigenze delle imprese e sfruttare appieno il polo universitario romano, che è il più importante d’Europa.

Alla luce di questo quadro, che profilo dovrebbe avere a suo avviso il prossimo sindaco di Roma?

Con un debito sulle spalle così rilevante e un’inefficienza così radicata nella macchina amministrativa, è difficile anche solo immaginare un rilancio di Roma. A mio avviso, per riuscirci servono qualità imprenditoriali e manageriali, oltreché politiche in senso lato ovviamente.

Quindi un imprenditore o un manager?

Sì, è quello che ci vuole. Ma è molto importante anche il modello.

Ne ha in mente uno in particolare?

Quello di Gabriele Albertini a Milano. La sua amministrazione ha dato origine nel capoluogo lombardo ad una serie di consiliature, di segno politico anche opposto, caratterizzate da una grande spinta verso lo sviluppo e l’innovazione della città. Il tutto basato su un elemento fondamentale, di cui a Roma oggi non c’è traccia: una partnership profonda e continua tra pubblico e privato. Solo con una squadra di manager alla guida, in radicale discontinuità rispetto all’attuale amministrazione, potremo far rinascere la capitale d’Italia.

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