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Guerre dell’acqua, tra Usa e Cina il confronto è anche sul Mekong

Secondo gli Stati Uniti la questione idrica attorno al grande fiume asiatico è un elemento di priorità strategica perché si collega alla stabilità di diversi Paesi. Tutti i dettagli nell’approfondimento di Emanuele Rossi

Quando David Stilwell, assistente del Segretario di Stato statunitense con l’incarico degli affari del Pacifico e dell’Asia dell’Est, ha parlato della nuova iniziativa lanciata dal suo dipartimento per il controllo delle acque del fiume Mekong l’ha definita una “minaccia esistenziale”. Ossia secondo gli Stati Uniti la questione idrica attorno al grande fiume asiatico è un elemento di priorità strategica perché si collega alla stabilità di diversi Paesi, e per questo Foggy Bottom ha lanciato il “Mekong Dam Monitor” in collaborazione con lo Stimson Center e Eyes on Earth.

Il progetto è definito dal dipartimento un passo significativo verso il miglioramento della comprensione delle condizioni dell’acqua negli oltre 800mila chilometri di bacino del Mekong, che con i suoi quasi 5mila chilometri è il più lungo fiume dell’Indocina. “I Paesi non possono gestire efficacemente ciò che non possono misurare e per troppo tempo alla popolazione del Mekong è mancata una contabilità trasparente delle risorse idriche del bacino”, dicono gli americani che sulla base di questo intendono inserirsi nel dossier che coinvolge a Birmania, MyanmarThailandia, Laos, Cambogia, Vietnam e soprattutto la grande provincia cinese dello Yunnan.

Pensare che la Cina non sia l’elemento centrale dietro al coinvolgimento americano su una questione così distante dai propri confini sarebbe da illusi. Il tema è la sicurezza idrica e la supervisione delle attività del Partito/Stato all’interno di quello che è un bacino di influenza naturale. Controllo che rappresenta di per sé una forma per complicare gli affari di Pechino. Il Mekong Dam Monitor utilizza il telerilevamento open source, le immagini satellitari e l’analisi Gis per fornire rapporti in tempo reale delle condizioni climatiche, dei flussi del fiume stimati e delle condizioni di funzionamento del bacino idrico nel Mekong.

Ma i dati hanno valore relativo sulla strategia. Monitorare l’impatto ambientale e sociale (nonché economico) lungo l’asta del fiume significa monitorare la Cina che a monte ha costruito nel tempo la bellezza di 11 dighe (quasi tutte nella contea autonoma del Lancang), che lo scorso anno erano state oggetto della denuncia di diversi paesi che le ritengono responsabili dell’aumento dei periodi di siccità. Come con Hong Kong sul rispetto delle libertà, nello Xinjiang col rispetto delle minoranze, con Taiwan sulla democrazia o nel Mar Cinese per la navigazione, nel Mekong gli Stati Uniti scelgono un tema – l’ambiente e la stabilità dell’area legata all’idrologia – per contrastare la Cina. L’Indocina diventa un’area di pressione tanto quanto le acque dell’Indo-Pacifico, parte del complesso sistema di confronto che Washington sta costruendo nell’intera regione.

Contemporaneamente Washington rafforza la propria figura nei confronti di Paesi come il Vietnam, che della strategia anti-cinese nell’Indo-Pacifico è parte integrante e che nel Mekong è parte in causa (vittima cinese) e dunque agganciatile nella tattica americana. L’intento non è una novità assoluta, nonostante il Monitor sia stato lanciato il 15 dicembre, già nel 2019 gli Stati Uniti rendevano chiaro il “The Mekong matters to America” come tattica anti-cinese, spiegando chiaramente che la necessità era stringere le relazioni con i paesi della regione tra cui c’è per esempio la Cambogia che recentemente ha concesso alla Cina l’uso di una base militare rinunciando alla presenza americana.

“La regione è al centro della strategia indo-pacifica degli Stati Uniti e parte integrante del nostro impegno con l’Asean. Gli Stati Uniti mirano a sostenere la sovranità, la trasparenza, il buon governo, la centralità dell’Asean e un ordine basato su regole, in collaborazione con i nostri partner del Mekong”, spiegava in uno statement dello scorso anno il dipartimento di Stato. Eyes on Earth ha già attribuito le responsabilità dei disequilibri ambientali alle dighe, accuse respinte da Pechino attraverso l’Istituto di stato per l’ingegneria sulle energie rinnovabili che ha recentemente pubblicato un report in cui contesta le conclusioni statunitensi (“Gli Stati Uniti non sono stati in grado di fornire prove valide dappertutto”, cavalcando alcune critiche metodologiche sollevate anche da ricercatori indipendenti).

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