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Perché l’Iran guarda a Biden e non a Soleimani. Il commento di Perteghella (Ispi)

L’Iran non ha intenzione di procedere a una rappresaglia per vendicare adesso, nel primo anniversario, l’uccisione del generale Soleimani, perché – secondo Perteghella (Ispi) – vuole riportare gli Usa al tavolo dei negoziati attorno al Jcpoa

“L’Iran ha dimostrato di essere un attore molto razionale, e non credo sia nel suo interesse fare retaliation simbolica in questo momento”, spiega a Formiche.net Annalisa Perteghella, Iran Desk dell’Ispi. “Immagino che resterà calmo e lo farà anche dopo l’insediamento di Joe Biden“. Perché? “Perché lo scopo dell’Iran non è tanto vendicarsi ma riportare gli Stati Uniti al tavolo negoziale e ottenere una riduzione delle sanzioni. Per questo penso che non solo fino all’insediamento di Biden, ma anche dopo l’insediamento l’Iran cercherà di restare calmo e non muovere una rappresaglia”.

Domenica due ex capi del Mossad e un ex capo del Consiglio di sicurezza nazionale israeliano hanno dichiarato al Jerusalem Post che l’Iran “non è riuscito a vendicare l’assassinio di uno dei suoi funzionari più anziani nel 2020 e probabilmente non lo farà prima che il presidente eletto degli Stati Uniti, Joe Biden, si insedierà”. Si parla di Qassem Soleimani, ucciso lo scorso 3 gennaio da un raid aereo statunitense mentre si trovava a Bagdad per incontri con i leader delle milizie sciite locali. Soleimani era un generale molto influente, con un ruolo politico molto superiore a quello di comandante militare, per questo la perdita per la teocrazia iraniana è stata molto dura.

In patria è considerato dai seguaci delle posizioni più reazionarie come un eroe da celebrare e vendicare – un’azione ufficiale compiuta nei giorni successivi alla sua scomparsa in Iraq non ha mai accontentato i falchi, che l’hanno sempre considerata dimostrativa ma poco simbolica, dunque una ritorsione di poca sostanza. Da settimane si assistente a movimenti di vario genere che hanno fatto pensare che l’anniversario potesse essere la data ideale per la vendetta contro gli Stati Uniti, e molte spifferate su questi movimenti sono arrivati alla stampa sia tramite le fonti negli apparati americani che israeliani, che hanno giocato sulla questione per pressioni psicologiche e infowar; per questo quello che dicono quei funzionari al JP è importante. Il tema Biden è un elemento di interesse, perché apre a scenari che vanno oltre la vendetta e la rappresaglia.

Per l’analista dell’Ispi l’obiettivo principale di Teheran è la riapertura di un dialogo con gli americani, di cui lo stesso Biden aveva parlato in campagna elettorale. Il futuro presidente statunitense era in cima alla leadership obamiana quando nel 2015 – dopo due anni di trattative – si arrivò alla firma del Jcpoa, l’accordo per il congelamento del programma nucleare iraniano da cui l’amministrazione Trump ha tirato fuori gli Stati Uniti nel maggio 2018. Oggi il capo dell’Organizzazione per l’energia atomica iraniana ha detto ai microfoni della tv statale che “l’Iran comincerà la produzione dell’uranio arricchito al 20 per cento nel sito sotterraneo di Fordow subito dopo l’ordine del presidente Hassan Rohani”.

La Repubblica islamica ha comunicato ieri all’Aiea l’intenzione di procedere con quella percentuale di arricchimento che è quasi 6 volte oltre la soglia del 3,67 per cento fissata dall’accordo del 2015. L’iniziativa del nuovo arricchimento sarà presa “nel rispetto di una recente legge approvata dal Parlamento“, quella che mette fine alle ispezioni dell’Aiea e prevede la creazione di uno stock di 120 chili di uranio arricchito al 20 per cento – un livello suscettibile di utilizzo militare (perché più facilmente impresentabile agli stadi successivi). “È possibile che Teheran utilizzi questa strada come forma di pressione verso Washington. Un modo per abbinare vari dossier e dire che se non verranno alleggerite le sanzioni si continuerà ancora con l’arricchimento”, aggiunge Perteghella.


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