Il Dipartimento del Tesoro americano ha messo sotto sanzioni un produttore di grafite cinese e dodici produttori di metallo iraniani. Fra questi, due hanno una connessione con l’Italia. Analisi e scenari della strategia di massima pressione
Un messaggio a Teheran perché Bruxelles intenda. Il Dipartimento del Tesoro americano ha pubblicato questo martedì una lista di nuove sanzioni contro 12 compagnie iraniane produttrici di acciaio e un produttore di grafite cinese, la Kfcc (Kaifeng Pingmei New Carbon Materials Technology Co., Ltd).
“L’amministrazione Trump rimane impegnata a fermare il flusso di denaro verso il regime iraniano mentre continua a sponsorizzare gruppi terroristici, a supportare regimi oppressivi e a costruire armi di distruzione di massa”, fa sapere in un comunicato il Segretario Steven Mnuchin.
Il mercato dei metalli, continua la nota del Dipartimento, “è un’importante fonte di sostentamento per il regime iraniano, genera ricchezza per i suoi leader corrotti e finanzia un ventaglio di attività nefaste”, fra cui “una varietà di abusi sui diritti umani, in casa e all’estero”.
La mannaia dell’amministrazione Trump si abbatte sulle aziende del regime in una giornata ricca di notizie sul fronte iraniano. Su tutte, l’annuncio da parte del governo di Hassan Rouhani della ripresa dell’arricchimento dell’uranio al 20% nell’impianto nucleare di Fordo, sito sotterraneo fra le montagne, a un centinaio di chilometri dalla capitale.
Una mossa letta da buona parte degli analisti come parte di una campagna di pressione su Joe Biden. Il presidente-eletto ha già annunciato di voler riprendere i negoziati per il Jcpoa (Joint comprehensive plan of action), l’accordo per la denuclearizzazione siglato nel 2015 e abbandonato da Trump, ma solo a patto che il governo iraniano mostri “piena adesione” agli impegni presi.
Da Bruxelles è arrivata una timida risposta, con la denuncia da parte della Commissione Ue di “un segno di rottura rispetto agli impegni presi dal Paese in tema di nucleare” ma anche l’impegno a “fare tutto il possibile per tenere in piedi l’accordo”.
Fra le aziende colpite dall’ultimo giro di sanzioni dell’Ofac (Office of Foreign Assets Control) ci sono anche realtà legate a doppio filo all’Italia. È il caso di Midhco (Middle East Mines and Mineral Industries Development Holding Company), gigante del settore dei metalli con una produzione annua di 19 milioni di tonnellate di acciaio che nel gennaio 2016 ha siglato un memorandum of understanding con l’italiana Danieli e altre due aziende iraniane, Mobarakeh Steel e CBSDSCo, per un valore complessivo di 3,7 miliardi di euro (dati Ispi).
C’è anche l’azienda iraniana Hdasco (Hafez Darya Arya Shipping Company), una sussidiaria di Irisl (Islamic Republic of Iran Shipping Lines). Vecchia conoscenza del Dipartimento del Tesoro, sotto il torchio delle sanzioni da giugno scorso, la Irisl si cela (insieme a Isoico) dietro la trasformazione di una nave traghetto italiana in una nave della Marina militare dei Pasdaran iraniani, con tanto di missili da crociera, droni ed elicotteri.
La campagna di massima pressione avviata in questi mesi dall’amministrazione Trump (con la scelta, fra l’altro, di lasciare in Medio Oriente la portaerei Uss Nimitz) non sarà bruscamente interrotta con Biden nello Studio Ovale, ha spiegato a Formiche.net Raz Zimmt, esperto di Iran e research fellow presso l’Institute for National Security Studies dell’Università di Tel Aviv. Un allentamento ci sarà, ma a sole due condizioni: “Che l’Iran rispetti gli impegni e che l’accordo venga allargato alle politiche regionali e ai programmi missilistici della Repubblica islamica”.