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Libia, retroscena dell’incontro romano tra Williams e Serraj (anticipato da Formiche.net)

Incontri romani al centro del futuro dossier libico. Il leader libico Serraj vede la delegata Onu e i vertici del governo italiano. Tre temi: la sua permanenza fino alle elezioni, il suo piano per traghettare il Paese fino al voto e la definizione dell’incarico in Unsmil

Unsmil, la missione di supporto delle Nazioni Unite al processo di stabilizzazione libico, conferma ufficialmente un incontro che Formiche.net aveva anticipato in esclusiva: nella sua “visita di lavoro” romana, il capo del Consiglio presidenziale libico, il premier Fayez al Serraj, ha incontrato Stephanie Williams, attualmente facente funzione del delegato Onu alla guida della struttura Unsmil.

Il faccia a faccia viene descritto come una discussione “sui modi per portare avanti il dialogo politico libico, in vista della riunione del comitato consultivo dell’LPDF la prossima settimana a Ginevra”, ma oltre al dialogo continuo sul processo di stabilizzazione, ci sono tre temi in discussione.

Il primo (anche questo anticipato da tempo da Formiche.net) riguarda il futuro di Serraj ed è l’Onu a dare conferma definitiva. Il leader libico, che aveva annunciato le dimissioni a settembre, resterà alla guida del Paese fino al 24 dicembre del 2021 – data in cui Williams ha fissato le elezioni. Questo rappresenta l’accettazione per la diplomatica statunitense di una realtà evidente da tempo: il suo piano per un rimpasto ad interim non va avanti.

Williams voleva portare alla guida del Consiglio presidenziale Agila Saleh, politico con forte presa a Tobruk e presidente del parlamento HoR (riconosciuto dall’Onu secondo il Libyan Political Agreement del 2015 che ha dato vita al percorso negoziale, più volte interrotto, e al sistema amministrativo composto dal Consiglio presidenziale e dal governo Gna guidati da Serraj). Abbinato all’uomo dell’Est, Williams voleva un premier dell’Ovest, e pensava a Fathi Bashaga, attualmente il ministro dell’Interno.

L’accoppiata non funziona, ha diverse problematiche e non viene ben recepita sia internamente (la presidenza a Saleh sbilancia tutto verso la Cirenaica), sia da molti degli attori che gravitano dall’esterno attorno al dossier (Bashaga come premier non è accettato da Paesi come la Russia perché ritenuto troppo vicino alla Fratellanza.

Qui c’è il secondo dei temi in discussione: ossia l’idea di Serraj, che mantenendo il suo ruolo vorrebbe affidare l’incarico di premier a un uomo indicato dal capo miliziano dell’Est, Khalifa Haftar, che nel corso delle trattative seguite al cessate il fuoco di ottobre ha riacquisito un ruolo centrale – dopo essere stato parzialmente messo, anche per il piano di Williams, che intendeva sostituirlo con Saleh come interlocutore dalla Cirenaica.

Anche questo piano è comunque complesso da realizzare, come spiegato su queste colonne dall’esperto Daniele Ruvinetti. Haftar non sembra accettare un suo vicario, perché teme che possa significare una sua uscita di scena; e inoltre a Tripoli molti partiti (e milizie) ritengono l’affidamento dell’incarico di primo ministro a un haftariano pericoloso perché sbilancerebbe il sistema amministrativo-legislativo sul lato della Cirenaica (che detiene come detto il presidente del parlamento).

Serraj sta cercando di veicolare il proprio piano anche attraverso il sostegno politico-diplomatico di Paesi come l’Italia, che hanno capacità di dialogo su entrambi i fronti – a differenza di attori con ruoli più centrali, come la Turchia o gli Emirati, che invece hanno una posizione più schierata. In quest’ottica rientra anche il ruolo dell’Egitto, che si sta ritagliando una posizione di mediazione anche agli occhi dell’Onu, dopo aver sostenuto Haftar e le sue ambizioni militari.

Per Roma la stabilizzazione è cruciale: recentemente Shorouk News, prominente media arabo pubblicato in Egitto e altri Paesi, ha riportato uno stralcio analitico incluso in un pezzo di Formiche.net in cui si scriveva: “La stabilizzazione della crisi è una questione di interesse nazionale per l’Italia, sia per la sicurezza collegata ai flussi migratori che dalla Libia partono, sia per aspetti di interesse economico-commerciale e per il valore dei giacimenti e collegamenti energetici libici (dove l’Italia ha un ruolo primario)”.

Anche al Cairo si recepisce o percepisce l’importanza della Libia per l’Italia, importanza che gli egiziani condividono (sia in termini di sicurezza che di interessi), nonché nel valore politico internazionale del dossier. Argomenti su cui c’è anche competitività tra i due Paesi. Anche per questo la presenza di Serraj a Roma è stata importante: il leader libico ha visto nel giro di poche ore (distribuite nei due giorni romani) sia Williams che la leadership italiana che tratta la Libia (il premier e il ministro degli Esteri), e da Roma parte una nuova spinta al percorso di stabilizzazione – per molti aspetti alternativa al piano lanciato quest’estate da Saleh al Cairo che aveva ispirato inizialmente Williams.

Qui si apre il terzo tema: ossia la permanenza di Williams nel ruolo di delegato Onu. Secondo fonti diplomatiche, sia libiche che europee, è “quasi scontato” ormai che la diplomatica americana resti nella posizione andando oltre all’interim e entrando in forma permanente. Al di là di tutto, il processo di contato Est-Ovest in corso è stato intavolato e guidato con dedizione da lei e – stando alla recente rinuncia del diplomatico bulgaro, designato dal Palazzo di Vetro per colmare il vuoto lasciata dall’uscita di scena di Ghassan Salamé – Williams resta l’opzione migliore, se non l’unica. Il suo incarico è ormai solo questione di formalizzazione.


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