La strategia americana in Medio Oriente non subirà cambiamenti sostanziali sotto l’amministrazione Biden, e seguirà il solco del disimpegno e del controllo da remoto delle dinamiche regionali. Ci saranno spazi, ma difficile che i rivali statunitensi abbiano volontà e capacità per riempirli, spiega Giuseppe Dentice a capo del programma Mena del Cesi
Stiamo assistendo a un rimodellamento della situazione mediorientale avviato in forma visibile nei mesi recenti. Israele ha aperto le relazioni con il mondo arabo; i Paesi del Golfo hanno sollevato il blocco interno che aveva potato il Qatar a essere completamente isolato tre anni fa; la Turchia s’è mostrata disponibile a parlare con Tel Aviv e Riad (e Abu Dhabi?) sebbene abbia interessi geopolitici e posizioni ideologiche molto differenti; l’Iran ha mantenuto una retorica forte, ma mostra segnali per possibili aperture (se i moderati dovessero riuscire a tenere il Paese).
Uno dei motivi di queste dinamiche risiede in un aggiustamento tattico che riguarda la regione sotto l’effetto Biden, ossia sotto l’influenza che le cancellerie del Golfo pensano possa avere l’ingresso alla Casa Bianca del democratico Joe Biden. Poi ci sono fattori interni – anche perché molti spostamenti sono iniziati già con l’amministrazione Trump – e sono sostanzialmente connessi alla ricerca di equilibrio davanti a una situazione complessa come quella del Covid che ha spiazzato anche i Paesi più importanti della regione. Tornerà la Pax Americana?
“La Pax Americana l’abbiamo vista soprattutto durante la presidenza Clinton e credo che sarà difficile rivederla, almeno nei prossimi anni, in un contesto mediorientale e internazionale così favorevole agli Usa come era allora. L’attuale amministrazione non farà troppe cose diverse dal tradizionale solco statunitense: la strategia sostanziale in Medio Oriente non cambierà rispetto agli anni precedenti, sebbene con ogni probabilità cambieranno i toni, che saranno più vicini alle forme più canoniche della diplomazia classica”, spiega a Formiche.net Giuseppe Dentice, a capo del programma Mena del Cesi (think tank romano che ha recentemente pubblicato un’ampia carrellata sulla politica estera del nuovo presidente Usa intitolata “Back to the Future”).
Per rendere chiarezza a chi legge, la strategia statunitense in Medio Oriente si può riassumere così: l’idea americana ruota attorno all’evitare che le potenze regionali diventino egemoni, e per farlo si è sempre cercato di distribuire equilibrio nell’area contrastando quei Paesi – come l’Iran e in parte la Turchia – che spinti da un desiderio di nuova sovranità o di avventurismo regionale non accettano il ruolo di arbitro di Washington nella regione.
“Quello che vedremo nel breve termine – secondo Dentice – sarà una situazione indirizzata verso un sostanziale equilibrio, con gli Usa che continuano nella ricerca avviata da tempo di tirarsi fuori da ruoli di estremo coinvolgimento, preservando interessi come lo status di Israele, il commercio internazionale, la diplomazia economico-militare. Di fatto gli Stati Uniti stanno cercando da diverse amministrazioni di lasciare spazi agli attori regionali, ma lasciando un piede nella regione. Una presenza che è giocata anche attraverso le basi militari”.
In questi giorni sono circolate diverse notizie a proposito. Il Wall Street Journal ha per esempio parlato delle volontà del Pentagono di invertire immediatamente un ordine di ritiro con cui la presidenza Trump ha lasciato la Casa Bianca portandosi dietro un’apparente vittoria politica sulle endless war, con il rientro a casa di diverse truppe da Iraq e Afghanistan. Così come sono uscite in alcuni media iraniani (notizia dunque da confermare al netto delle alterazioni tipiche della fonte) indiscrezioni su un rafforzamento dei militari americani nell’Est della Siria. Oppure ancora, le indiscrezioni sulle volontà americane di iniziare ad usare Yanbu, porto petrolifero saudita sul Mar Rosso, e gli aeroporti di Tabuk e Taif, come scali militari affacciati in quelle acque nevralgiche per la geopolitica regionale.
“Gli Usa vogliono dare l’idea di avere ancora un ruolo nell’area – aggiunge l’esperto del CeSI – pur mantenendosi ufficialmente distanti o non cercando un nuovo coinvolgimento diretto”.
Chi accetta questa partita (di scambio: mani più libere, ma attività condivise) e chi invece cercherà di approfittare del calo del coinvolgimento leggendolo come una forma di debolezza, una faglia da allargare per crearsi spazi geopolitici? “Israele, le monarchie arabe del Golfo, l’Egitto e in fin dei conti anche la Turchia tenderanno a stare dalla parte americana, perché vorranno mantenere una certa equidistanza senza però allontanarsi troppo dall’ombrello statunitense. Russia, Cina e Iran ne resteranno fuori”, risponde Dentice.
Però è altrettanto vero che in questo schema ci sono Paesi che “si muoveranno in funzione del momento”, precisa. Un esempio calzante di quanto sta succedendo riguarda il grande tema dei vaccini, arma strategica del momento, con accordi che si portano dietro conseguenze sul quadro delle relazioni internazionali. E qui vediamo che i prodotti russi (“Sputnik V”) e quelli cinesi (come i sieri di Sinovac e Sinopharm) hanno un’ottima penetrazione regionale. Per esempio li hanno acquistati gli Emirati, che si considerano forti alleati statunitensi ma hanno preferito i farmaci cinesi e russi a quelli prodotti dalle americane Pfizer e Moderna; oppure la Turchia.
“Vero, ma situazioni diverse – continua l’analista – perché mentre gli Emirati cercano spazi, nel caso di Ankara e altri Paesi la scelta potrebbe anche essere dettata dalle disponibilità economiche. La Turchia non ha casse così floride e potrebbe aver scelto la soluzione più economica e utile al momento”.
La questione dei vaccini ci è comunque utile per aprire uno scenario relativo alla strategia americana: il ruolo dei rivali, su tutti la Cina, grande potenza ascendente. Secondo Dentice il punto è capire quanto Pechino sarà disponibile a intervenire in una qualche situazione in Medio Oriente stante il principio storico di non ingerenza e stante che il Partito/Stato non sente quelle questioni come proprie: “Ciò che immagino è che la Cina interverrà soltanto se sentirà i propri interessi economici a rischio, ma non intenderà giocare ruoli politici in alcun modo”.
Ma dunque, la narrazione secondo cui gli Usa lasciano il Medio Oriente e verranno sostituiti dagli avversari come la Cina o la Russia? “È fallace, sia perché gli Usa non lasceranno del tutto il Medio Oriente come detto, sia perché non sono sicuro che gli altri vogliano realmente gestire quegli spazi lasciati, e soprattutto non sono per niente certo che Pechino o Mosca abbiano le capacità per sostituirsi a Washington”.