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Navi sequestrate e mine. Tornano le milizie di Soleimani nel Golfo?

Le milizie proxy che l’Iran, tramite il defunto generale Soleimani, ha sviluppato per creare la propria sfera di influenza rischiano di essere l’innesco di una crisi regionale che coinvolge l’Iran, l’Iraq, il Golfo, Israele e gli Usa

I Guardiani della Rivoluzione iraniana avrebbero messo sotto sequestro una petroliera battente bandiera sud-coreana, la “Hankuk Chemi”, con l’accusa di inquinare le acque del Golfo con sostanze chimiche. L’autority britannica per le operazioni commerciali marittime, UKMTO, ha segnalato oggi che in seguito ad una “interazione” tra le autorità iraniane e una nave commerciale nello Stretto di Hormuz, una petroliera è stata costretta a deviare il corso di navigazione ed entrare nelle acque territoriali iraniane.

Tre giorni fa i marittimi di un cargo petrolifero liberiano, “MT Pola” il nome, hanno trovato attaccato allo scafo dell’imbarcazione una mina magnetica. La nave era ferma nel porto di Basra, una città del su dell’Iraq che è collegata al Golfo Persico da una serie di canali – uno di questi segna il confine con l’Iran. Per rimuovere la mina c’è voluto tempo, perché era un lavoro da professionista: di solito le mine limpet come quella sulla Pola vengono attaccate alle imbarcazioni in missioni delle forze speciali.

La nave fermata a Hormuz e la mina trovata in Iraq fanno scorrere indietro la mente all’estate del 2019, quando questo genere di sabotaggi contro il mondo petrolifero era all’ordine del giorno. Ai tempi era in corso la ritorsione dopo che l’anno prima gli Stati Uniti erano usciti ultimamente dal Jcpoa, l’accordo con l’Iran per il congelamento del programma nucleare e l’abolizione delle sanzioni. I Pasdaran venivano accusati di complicare la situazione con quelle azioni clandestine. Oggi c’è un altro anniversario che riguarda sempre il corpo militare teocratico, la sua volontà di vendetta e di complicare le cose: un anno fa esatto il generale Qassem Soleimani è stato eliminato da un raid aereo statunitense.

Soleimani era il capo delle Quds Force, l’unità d’élite dei Pasdaran, ma il suo ruolo andava molto oltre al comando militare. Soleimani era uno stratega e un ideologo, aveva panificato e messo in atto la strategia con cui l’Iran intende muovere la propria influenza nella regione attraverso l’uso di proxy – le milizie sciite collegate per ideologia e per interesse alla Repubblica islamica. Soleimani aveva contatti in Iraq, in Siria, in Libano (dove si trova Hezbollah, tra i proxy quello più di successo e più storico), in Yemen, in Afghanistan, in Pakistan e in Palestina. Molti dei leader di questi gruppi, alcuni dei quali sono classificati come organizzazione terroristiche, erano a Teheran domenica per presenziare alla cerimonia di commemorazione. Gli stessi hanno organizzato nei propri paesi delle manifestazioni in ricordo del loro capo – eroe ideologico e finanziatore pratico. Fars News ha trasmesso molte immagini di questi eventi.

Esmail Qaani, il generale che ha preso il posto di Soleimani, durante la cerimonia ha ricordato agli Stati Uniti che qualcuno potrebbe vendicarsi all’interno del territorio americano, ventilando ipotesi macabre come attentati. È possibile: i gruppi collegati all’Iran hanno gli expertise per compiere certi attacchi, una dimensione non nuova per Hezbollah per esempio. L’advisor militare della Guida Suprema – Ali Khamenei teoricamente è il riferimento massimo di tutte quelle milizie religiose e politiche – ha ricordato che tutte le basi americane nel Medio Oriente possono essere raggiunte dai missili iraniani.

Sono dichiarazioni propagandistiche, messaggi diretti ai proseliti da prendere con le dovute pinse, parte di operazioni psicologiche (che coinvolgono anche gli Usa sull’altro lato). Ma sono anche indice di un livello di tensione crescente. Il problema sta nel dualismo all’interno dell’Iran. Da una parte ci sono i membri del governo e i loro sostenitori, che seguono una linea pragmatica moderata: questi mantengono una linea fredda, hanno una capacità di calcolo e di valutazione. Come ha sottolineato su queste colonne l’analista dell’Ispi Annalisa Perteghella la loro posizione è finalizzata all’ottenere un ritorno degli Stati Uniti al tavolo negoziale con l’insediamento dell’amministrazione Biden. Per questo non hanno intenzione di sposare e implementare la via della ritorsione.

Questa posizione attendista è abbastanza condivisa anche dai conservatori più pragmatici, ma non è quella che vogliono gli ultra-reazionari e i Pasdaran più collegati al settore dell’industria militare. Figure che hanno interesse – per sopravvivenza politica e per mantenimento di presa sul potere – nel tenere alta la tensione con un ingaggio costante, a media-bassa intensità contro gli Usa, contro i regni del Golfo o contro Israele. A queste figure in Iran rispondono con maggiore interazione le milizie sciite regionali, che però sono corpi che ormai hanno acquisito un sufficiente livello di autonomia. È qui che nasce il rischio di azioni militari o scatti che possono produrre un casus d’innesco per confronti militari.

Domenica le autorità degli Emirati Arabi hanno fatto sapere di aver arrestato alcuni individui che stavano organizzando operazioni nel loro territorio. Erano soggetti collegati all’Iran secondo quanto riferito dagli emiratini, che hanno già vissuto nell’estate del 2019 gli effetti di certe ritorsioni con una serie di sabotaggi nell’hub petrolifero di Fujairah. Gli Emirati sono parte in causa nel confronto con l’Iran, ma hanno provato a mantenere basso il rischio di effetti collaterali, ossia hanno cercato di non far scivolare le cose sul piano del confronto militare. Gli iraniani dicono – per voce ufficiale del ministro degli Esteri – che sono in corso delle attività israeliane che vorrebbero usare un falso attacco da attribuire alle milizie per produrre una reazione forte degli Usa contro l’Iran.

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