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Cosa rischiano i gasdotti Nord Stream 2 e Eastmed. Lo spiega Nicolazzi

“Credo che rischiamo di pagar dazio alle mode intellettuali ricorrenti, come ieri lo abbiamo pagato infondatamente sul tema dell’assicurazione energetica in riferimento al gas”. Conversazione con Massimo Nicolazzi, manager di lungo corso nel settore degli idrocarburi

Che succede ai gasdotti Nord Stream 2 e Eastmed? Sul primo pende la spada di Damocle del caso Navalny, su cui si è espresso ieri anche il Parlamento europeo; sul secondo i dati riguardanti il caso di consumo del gas. Secondo Massimo Nicolazzi, manager con alle spalle una solida esperienza nel settore degli idrocarburi, (Eni e Lukoil), il nodo non è nelle nuove infrastrutture quanto nei venditori.

La Commissione europea prevede un calo del 20-25% del consumo di gas naturale in Europa già entro il 2030: quanto influisce, in prospettiva, sul Nord Stream 2 e sull’Eastmed?

Insieme al declino, dalle prospettive che abbiamo sottomano non siamo orientati verso un forte aumento dei consumi. Ci potrebbe essere spazio per produzione e consumo da un punto di vista della capacità, ma bisognerà valutare quanta fetta di mercato si riesce a prendere. La previsione è di calma piatta. Anche la produzione accuserà almeno 15 miliardi di metri cubi in meno nel breve-medio periodo. Abbiamo un’infrastruttura che è già in grado di fornire la differenza, come capacità di tubo e di rigassificazione, per intenderci.

Quindi il nodo non è nelle nuove infrastrutture?

No, il problema sono i venditori. Posso immaginarmi un futuro, ad esempio, in cui l’Algeria abbia sempre meno gas disponibile per l’export anche perché sta mettendo in pista un progetto di sviluppo interno molto basato sull’autoconsumo di gas. Mi immagino inoltre un futuro in cui la Libia c’è e non c’è; dove senza Groningen diventa difficile riempire la capacità di Passo di Gries; dove ai prezzi attuali nessuno sta investendo nell’estremo nord norvegese per rimpiazzare le riserve che loro stanno producendo. Per cui l’unico settore che può dare di più, dal punto di vita geologico e produttivo, è il russo. Noi ci siamo tanto dilettati con il tema della sicurezza rispetto al produttore russo, in realtà noi oggi abbiamo un altro problema.

Quale?

Di sicurezza relativo ai produttori non russi. È un fatto fisico, economico e anche politico. All’interno di ciò cercano spazio nuovi progetti che riusciamo a vendere all’opinione pubblica come progetti di diversificazione dalla Russia: in realtà Cipro è una diversificazione dal gas algerino.

Cosa hanno in comune due temi complessi e solo apparentemente distanti come il Recovery Plan e i gasdotti?

Al momento hanno in comune l’esigenza di avere un sostegno pubblico. Sono anche due elementi che possono essere antagonisti, a seconda delle campane che l’Europa vorrà suonare perché un’Europa che non finanzia più i progetti legati al fossile ci dice che forse Cipro è un progetto che non inizierà. Preciso che non sto prendendo una posizione nel merito ma riporto i fatti: nel giro di un anno siamo passati da un progetto che era di interesse europeo al fatto che Cipro senza una qualche forma di sostegno pubblico non riuscirà più a restare in piedi finanziariamente.

L’Eastmed è a rischio?

Credo che rischiamo di pagar dazio alle mode intellettuali ricorrenti, come ieri lo abbiamo pagato infondatamente sul tema dell’assicurazione energetica in riferimento al gas. Oggi il rischio che vedo è quello di scartare dei progetti infrastrutturali fossili senza avere un piano B. Uscendo per un momento dal tema gas, gli ultimi report di Mackenzie ci dicono che il prezzo dell’oil aumenta al diminuire della domanda e tra qualche anno rischiamo di avere un’altra consistente spike di prezzo del petrolio per qualche mese. Non dobbiamo dimenticare che quando si parla di gas abbiamo dinanzi a noi investimenti con orizzonti temporali non propriamente ristretti.

Il Parlamento europeo ha chiesto che la costruzione del controverso gasdotto Nord Stream 2 venga interrotta, in una risoluzione approvata ieri. Svolta o gioco delle parti? La Germania è sottoposta a crescenti pressioni per fermare il gasdotto russo.

Anche Berlino ha problemi dopo l’arresto di Aleksej Navalny. I principali attori non hanno nessun dubbio sul fatto che il progetto verrò ultimato. Dopo di che è ovvio che un leader europeo non possa rimanere insensibile a quella vicenda, ovviamente appartenente ad un’altra partita. Altri casi simili sono finiti con una formula grazie alla quale tutti poi salvano i propri principi. La crisi Navalny può essere contingente, dato che non ha la minima intenzione di farsi esiliare. La soluzione del problema può non essere semplicissima.

Con quali riflessi concreti sul gas?

Dal punto di vista strutturale e infrastrutturale il Nord Stream per tedeschi e russi è una scelta permanente.

Un nuovo soldato avanza nel processo di transizione dalle fonti fossili. Perché definisce così l’idrogeno?

In questi giorni sto leggendo le analisi più disparate sul funzionamento della rete gas in Italia. Per cui allo stato penso che, se ci va bene, nei nostri tubi potremmo far girare oggi come oggi il 10% di idrogeno assieme al metano: e per motivi di sicurezza non di più. In un documento di Snam ho letto che l’obiettivo è quello di arrivare ad una miscela che comprende anche frazione di biogas, inoltre ho appreso che in tale quadro il metano continuerà ad essere presente in quei tubi al 70%. Ma non ho visto in prospettiva un programma-lavori. Inoltre su molti usi l’idrogeno diventerà probabilmente l’ingrediente fondamentale dei processi di decarbonizzazione, però lo vedo in alcuni settori, anche perché per fare dell’acciaio verde all’Ilva serviranno evidentemente alcuni anni. Sarà anche un pezzo fondamentale per il superamento dei problemi di intermittenza di sole e vento. Però la tesi secondo cui l’idrogeno diventerà sostitutivo del metano confesso che devo comprenderla meglio.

twitter@FDepalo



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