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Perché Mosca vuole Navalny in carcere

Vista da Mosca la vicenda è delicata quanto chiara. Il ritorno di Navalny attira i riflettori sul Cremlino, dove sono in corso complicati meccanismi di successione, e sulle elezioni alla Duma di settembre – dove l’attivista potrebbe portare grane al sistema di consensi putiniani. Ecco perché Mosca non poteva non arrestare Navalny, e perché ora il Cremlino descrive il suo rientro come un problema di interesse nazionale, e la corte di Vladimir Putin si arrocca attorno al potere

Arrestato due giorni fa al suo ritorno in Russia dopo 5 mesi di cura a Berlino, Alexei Navalny è stato trasferito al carcere federale di Matrosskaya Tishina. Dice di non aver subito “pressioni fisiche o morali” e di essere in buone condizioni, ma resta in stato di detenzione. Il carcere è arrivato dopo l’avvelenamento, subito la scorsa estate – mentre si trovava in Siberia per la campagna elettorale – con tutte le evidenze che danno i servizi segreti russi, e dunque il Cremlino, tra i mandanti della killing mission fallita con cui eliminare il più famoso degli oppositori al controllo di Vladimir Putin e la sua corte sul potere in Russia.

Era ricercato dal 29 dicembre 2020 per ripetute violazioni delle condizioni imposte a seguito di una condanna per appropriazione indebita, per la quale ha ricevuto una pena sospesa. Inoltre è sotto accusa per diffamazione di un reduce della Seconda Guerra Mondiale, un reato che può essere punito con una multa o anche questo con il carcere. Flashback: il veterano in questione, Ignat Artamenko, era il testimonial della campagna per il referendum costituzionale la cui approvazione, lo scorso 1 luglio, permetterà a Putin di correre per altri due mandati, con la prospettiva di restare al potere fino al 2036; Navalny aveva definito sui social network “traditori” e “corrotti” coloro che avevano prestato la propria immagine per gli spot pro-Putin.

Come in altri contesti il governo russo ha già messo le mani avanti: per evitare manifestazioni a sostegno dell’attivista ha invocato le restrizioni necessarie contro la diffusione del Covid (su queste colonne Mattia Giampaolo ricordava l’uso di certe misure in forma restrittiva della libertà di espressione in Nord Africa). I sostenitori di Navalny hanno in programma di organizzare eventi a suo sostegno, chiedono al sindaco di Mosca di abrogare le restrizioni in forma eccezionale (sarebbe permesso dalle regole), ma l’uso del divieto può essere un valido elemento per eventuali azioni severe della polizia. Dozzine di sostenitori e simpatizzanti intervenuti per accoglierlo al rientro da Berlino all’aeroporto Vnukovo – lo scalo dove doveva atterrare, poi dirottato a Seremetevo per evitare il bagno di folla – sono stati già arrestati.

Intanto il governo russo s’è chiuso ancora di più – d’altronde a questo punto difficile fare altrimenti. “È un affare interno della Russia e non consentiremo alcuna interferenza”, ha dichiarato il potentissimo portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, a proposito delle tante richieste di liberazione – arrivate da Washington come da Bruxelles, da Roma e da altre cancellerie internazionali – dell’oppositore: “Siamo ancora interessati a buone relazioni che non dipendano in alcun modo dai singoli individui”, ha aggiunto per marcare la distanza dalle attività di Mosca sul proprio territorio e le relazioni esterne. Anzi, Peskov ha sottolineato come la preoccupazione del governo russo siano le proteste illegali – un modo anche per marcare quanto la questione apra rischi interni.

Le faccende interne e gli affari internazionali sono invece un elemento che in molti vorrebbero non differenziare, sostenendo che soprattutto nei rapporti con l’Occidente il terreno valoriale su libertà e diritti deve essere condiviso. Fattore che sarà decisivo nel modo con cui il nuovo presidente statunitense, Joe Biden, affronterà la questione Russia. È la dimensione internazionale del caso, nota fin dall’avvelenamento, ma il Cremlino non può rallentare. Abituata all’isolamento, Mosca risponde col muro contro muro – con la speranza che quello a cui allude Peskov valga anche per gli altri Stati, ossia che possano passare sopra a certe vicende e continuare a trattare business-as-usual con la Russia.

Vista da Mosca la vicenda è delicata quanto chiara. Il ritorno di Navalny attira i riflettori sul Cremlino, dove sono in corso complicati meccanismi di successione, e sulle elezioni alla Duma di settembre – dove l’attivista, come visto dai risultati in Siberia nelle amministrative, potrebbe portare grane al sistema di consensi putiniani. Sebbene in generale Navalny non abbia tutto quell’appeal con cui viene descritto in Occidente, nello specifico dei singoli contesti elettorali è in grado di catalizzare parte del sentimento di esasperazione e opposizione al sistema del potere. Non a caso il suo rientro viene descritto come una problematica di sicurezza.

I divieti che sfruttano il Covid, le dichiarazioni sulla pericolosità delle manifestazioni a suo sostegno, la posizione contro le pressioni internazionali sulla scarcerazione che nella narrazione diventano forme di ingerenza da un nemico esterno: elementi di un quadro chiaro, Mosca sta serrando i ranghi. C’è un’ampia fetta di russi che non crede che “il paziente di Berlino” (come lo chiama Putin) sia stato avvelenato, che non sia stato usato il Novichok e che non sia stata l’intelligence russa a farlo; ma dopo l’avvelenamento il suo approval è salito al 20 per cento, mentre prima era al 9. E questo non è una buona notizia per Putin e per la corte che lo circonda.


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