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Washington-Riad ai ferri corti. Il report sul caso Khashoggi

Facendo seguito alle sue stesse promesse di trasparenza, l’amministrazione Biden sta per rilasciare un rapporto dell’intelligence statunitense in cui si conclude che il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman ordinò l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi. Altro colpo ai futuri rapporti tra Washington e Riad

La prossima settimana l’amministrazione statunitense renderà pubblico il rapporto raccolto dall’ufficio del Director on National Intelligence sull’assassinio di Jamal Khashoggi, l’editorialista del Washington Post che viveva in Virginia, ucciso nel consolato saudita di Istanbul da una squadraccia dei servizi segreti sauditi. Per quanto noto e salvo sorprese quel report evidenzia le responsabilità dell’erede al trono saudita, Mohammed bin Salman, come mandante – e non risparmierà dettagli macabri che rendono tutto ancora più d’impatto (il corpo fu portato via in valigie fuori della sede diplomatica).

Bin Salman soffriva Khashoggi come un rivale nella narrazione: il giornalista, molto seguito sia nei pezzi che scriveva sia sui social, criticava il nuovo corso del potere guidato dall’avventurismo del figlio di Re Salman – e pianificava di fondare un movimento di opposizione. La scelta dell’attuale amministrazione inverte completamente la posizione presa dalla precedente, che aveva stretto i legami con Riad e che aveva chiuso più di un occhio su certe spaventose violazioni a libertà e diritti che adesso con Joe Biden sono diventate forza motrice per l’azione politica (Donald Trump aveva sostanzialmente difeso bin Salman).

Il rilascio del report arriva mentre le relazioni tra Washington e Riad sono precipitate a un nuovo minimo nelle ultime settimane, con l’amministrazione che ha messo in revisione la vendita di armi ai sauditi, ha criticato gli abusi dei diritti umani e le molestie dei dissidenti, ha sospeso le (limitate) attività di supporto alla campagna militare saudita in Yemen, ha annunciato che bin Salman non è (o meglio non sarà più) il canale di contatto tra i due Paesi. Dimostrazioni plastiche di come la Casa Bianca intenda “ricalibrare” i legami con il regno.

Non si tratta di cambiamenti strategici, gli Stati Uniti su questo hanno riassicurato l’alleato saudita anche con una conversazione avuta dal capo del Pentagono, Lloyd Austin, con bin Salman (che è anche ministro della Difesa): si è parlato della crisi insostenibile in Yemen; ma anche dell’Iran, nemico saudita con cui Washington vorrebbe riprovare un approccio senza sottovalutarne le pericolosità connesse; e più che altro delle priorità strategiche della regione legate al contenimento di lungo tempo della Cina (che flirta con Riad) e del confronto nel breve con la Russia.

Ma la Washington di Biden non può sottovalutare certe violazioni, avendo fatto dell’idea “Lega delle Democrazie” un mantra ereditario, progetto con cui collegare tutte le forze democratiche (leggasi occidentali o filo-occidentali) contro i sistemi autoritari. L’Arabia Saudita è uno di questi per il quale nel profondo vale la nota equazione con cui Roosevelt definì il rapporto con Anastasio Somoza, ma nelle posizioni pubbliche l’attuale Casa Bianca vuole marcare paletti, distanza e discontinuità.

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