Sul tavolo dell’autorità che gestisce i porti sauditi c’è un fascicolo pesante. La Cosco, acronimo di China Ocean Shipping Company, ha messo gli occhi sul porto di Jeddah e sarebbe interessata ad acquisire una quota pari al 20 per cento del terminal container dello scalo della città lungo il Mar Rosso. L’investimento vale 140 milioni di dollari e permetterà al colosso cinese di prendere una bella quota di Red Sea Gateway Terminal Limited, società gestrice in cui entrerà anche il fondo sovrano saudita. Il Public Investment Fund (PIF) e Cosco si aggiungeranno a un pacchetto di shareholders che attualmente è composto da: MMC Barnard, conglomerato malaisiano che detiene il 20 per cento; la Xenel Industries per un altro 20; e Saudi Industrial Services Company con il 60 per cento. La capacità attuale è di 5,2 milioni di Teu, ma con il nuovo contratto — e investimenti già decisi per 1,7 miliardi entro il 2050 — dovrebbero essere quasi raddoppiate. L’aspetto business nasconde il lato geopolitico della questione.
A 300 chilometri a nord di Jeddah c’è Yanbu, un porto dual use di cui gli Stati Uniti intendono rafforzare l’utilizzo – secondo un piano che non è nuovo ma che nelle ultime settimane ha ricevuto parecchia attenzione. Il tema portuale è importante: trecento chilometri tra una struttura controllata dalla Cina e una che la US Navy intende usare come scalo sono pochi (e a poco distanti ci sono anche gli aeroporti di Taif e Tabuk per i quali gli Usa pensano a un altro potenziamento). Si tratta di sistemi che non possono essere vicini, vedere quanto accade ad Haifa, anche perché il ruolo che gli americani intendono dare a Yanbu è quello di controllo strategico di quel lineamento di mare da cui risalgono le rotte che partono dall’Indo-Pacifico e vanno verso l’Europa. Rotte fondamentali per la Cina – per l’asse lungo Suez-Malacca della Bri marittima – ma anche per gli Stati Uniti e la globalizzazione via mare. Da ricordare che l’area è poco a nord del polo strategico talassocratico di Gibuti, con il Corno d’Africa che è un ambito iper-strategico (anche per l’Italia), mentre sull’alta sponda di Jedda, a Port Sudan, i russi installeranno una base.
Sebbene l’interesse cinese possa essere inquadrato in necessità di carattere geo-economiche non si può escludere una sovrapposizione strategica nell’ambito del confronto globale con l’America. Il rapporto Washington-Riad è paradigmatico del lavoro che da decenni caratterizza l’impero americano, e per Pechino creare ulteriori frizioni è un interesse di politica globale. Posizionarsi a Jedda dà alla Cina vantaggio nel controllo di un’area solcata dalle vie della seta e affacciata verso il piano Marshall africano (i tanti investimenti di Pechino in Africa, frutto di una volontà espansionistica). Il rapporto tra sauditi e americani è in fase di revisione con l’amministrazione Biden, ed è come se Riad cercasse spazi per sfruttare la regione mediorientale (in Arabia Saudita come in Israele o negli Emirati e Iran) come controffensiva di un riassetto generale che vede gli Usa spostare l’attenzione verso l’Asia.