“La controparte del presidente è Re Salman” fa sapere la portavoce di Biden. Dichiarazione che indica che il riassetto delle relazioni tra Arabia Saudita e Stati Uniti è in corso, ma è anche un messaggio per frenare l’avventurismo di Mohammed bin Salman spiega Valeria Talbot, head del Mena Center dell’Ispi
“La controparte del presidente è Re Salman e mi aspetto che, al momento opportuno, avrà una conversazione con lui”, ha detto Jen Psaki, portavoce di Joe Biden. L’affermazione non è sfuggita agli osservatori del Medio Oriente, perché è una dichiarazione che sottolinea cambiamenti in corso nelle relazioni sull’asse Washington-Riad, come spiega Valeria Talbot, head del Mena Center dell’Ispi.
“C’è un messaggio importante, perché mentre si sottolinea il valore del rapporto tra Stati Uniti e Arabia Saudita, definire Re Salman come interlocutore per Washington s’inquadra in una linea critica annunciata e intrapresa dall’amministrazione Biden”, aggiunge Talbot a Formiche.net.
Psaki ha sottolineato infatti che è stato già chiarito dall’attuale presidente e dal suo entourage che il rapporto con i sauditi sarà ricalibrato. In questo processo, l’intenzione di comunicare con il sovrano è significativa perché riporta l’interlocuzione su una linea classica seguita per anni, finché con l’amministrazione Trump la relazione istituzionale Washington-Riad non è stata in buona parte sostituita da quella più personale tra il genero/consigliere Jared Kushner e il principe ereditario Mohammed bin Salman (MbS).
Quella della portavoce secondo Talbot è una sottolineatura che interrompe una prassi acquisita e “con la quale l’amministrazione Biden non vuole dare legittimazione a bin Salman, ritenuto non più l’interlocutore principale con cui parlare: questo, sebbene è noto che a Riad il principe abbia un ruolo prominente, serve anche a inviare un messaggio a proposito di un’eventuale abdicazione che sappiamo non è nella tradizione saudita, ma sappiamo anche che le condizioni del sovrano non sono per niente ottimali”.
L’indicazione è che Washington innanzitutto intende porre le relazioni con gli alleati sauditi su nuove basi – è stata messa in revisione una commessa di armi, è stato sospeso il sostegno all’offensiva in Yemen, è stata annunciata la possibile desecretazione di documenti riguardanti il caso Khashoggi (l’editorialista del Washington Post ucciso in Turchia da una squadraccia dei servizi in un’operazione che secondo la Cia coinvolge in prima persona bin Salman).
Biden ha elevato la questione dei diritti umani tra i vettori della sua politica estera, e in questo Riad si è aperta a un atteggiamento di ridefinizione dei rapporti – vedere per esempio la riconciliazione con il Qatar, l’inizio dei contatti con la Turchia, o esempi simbolici come la liberazione dell’attivista Loujain al-Hathloul. Tuttavia Psaki ha anche sottolineato che gli Stati Uniti continueranno a lavorare con Riad sulle necessità di difesa del regno – come dimostrato anche dalla volontà del Pentagono di allargare il numero delle basi sul territorio saudita – sebbene, dice la portavoce, “chiariamo le aree in cui abbiamo disaccordi e in cui abbiamo preoccupazioni”, sottolineando che questo è certamente un cambiamento rispetto all’approccio della precedente amministrazione.
“L’approccio americano mira al Diplomacy First: interrompere l’appoggio alla guerra in Yemen non significa non dare più sostegno e aiuto all’Arabia Saudita infatti, ma è un messaggio simbolico per chiedere severamente uno stop alle azioni avventuriste di bin Salman”, aggiunge Talbot.
Il conflitto in Yemen è in effetti uno dei passaggi più simbolici di questo avventurismo, avviato quando l’attuale erede al trono era ancora ministro della Difesa e voleva per certi versi testare la possibilità di magnetizzare attorno a Riad un’alleanza militare regionale extra-Golfo usando il conflitto civile yemenita come banco di prova – e sfruttando anche la possibilità di guerreggiare in formato proxy contro l’Iran, che sostiene i ribelli Houthi (che hanno rovesciato il governo di Sanaa).