Nel giorno della prima telefonata a Xi Jinping, gli Stati Uniti di Joe Biden diffondono le prime informazioni sulla Task Force China della Difesa. Una struttura politica-strategica con cui i militari americani guideranno – insieme alla Casa Bianca – il contenimento di Pechino
Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha avuto una prima conversazione telefonica con il segretario del Partito comunista cinese, il capo dello Stato Xi Jinping. La telefonata chiude settimane di silenzio tra i leader delle due potenze tra cui è in corso un confronto globale e arriva insieme alla prima visita di Biden al Pentagono e alla pubblicazione della Task Force China con cui la Difesa statunitense ha intenzione di ingaggiare il confronto con Pechino – una struttura corposa che dà il senso della priorità che gli Usa intendono affidare al super dossier cinese.
Il readout che esce dalla Casa Bianca è programmatico: i due leader si sono confrontati sulle “pratiche economiche aggressive e sleali [della Cina], repressione a Hong Kong, violazioni dei diritti umani nello Xinjiang, azioni sempre più assertive nella regione [Indo-Pacifica], anche nei confronti di Taiwan”. L’intera panoplia dei faldoni che innervosiscono Pechino e che per gli Usa (ancor più per quelli di Biden) sono inaccettabili.
Su Politico, due funzionari anonimi commentano dall’amministrazione statunitense la conversazione, e pongono particolarmente l’accento sul fatto che a Washington si sta pensando a costruire una strategia sostenibile e condivisa con gli alleati riguardo alla Cina; insistono che i temi del commercio e dell’economia sono quelli in cui l’Occidente deve andare unito (e sembra un messaggio all’Europa, che ha firmato in fretta e senza consultare l’alleato ameracano l’accordo CAI sul commercio con Pechino); calcano sulla questioni dei diritti (tema della Democracy Promotion al fondo dell’America is Back di Biden).
Le ultime evoluzioni da Washington segnano inconfutabilmente che il focus delle politiche americane per i prossimi anni sarà in Asia. Dopo gli spostamenti interni al dipartimento di Stato e il riempimento di caselle e uffici orientati verso l’Asia – e dunque la Cina – e dopo la nomina di Kurt Campbell (diplomatico non tenero con Pechino) a Indo-Pacific Czar per coordinare nel National Security Council tutto il dossier asiatico-cinese, arriva la Task Force del Pentagono – sforzo conclusivo di un riassetto in atto da tempo, visto sul campo con i tanti movimenti attorno al dossier dell’Indo-Pacifico a cui il team Biden ha già dato ampio valore.
La Task Force della Difesa è di per sé un quadro politico-strategico che va ben oltre l’ambito militare. A coordinare il gruppo di azione e pensiero che si occuperà di valutare policy, programmi e processi collegati al tema Cina sarà Ely Ratner, ex vicepresidente e direttore della ricerca al Center for a New American Security (CNAS) – think tank fondato dalla super esperta di politiche militari Michèle Flournoy e da Kurt Campbell. Ratner già è stato nello staff di Biden quando era vicepresidente, tra il 2015 e il 2017, mentre prima si era occupato del desk Cina al dipartimento di Stato ed è autore di paper sulle relazioni Usa-Cina (su cui ha anche fornito indicazioni al Congresso in testimonianze pubbliche e non).
Ratner sarà uno dei 15 civili che compone la Task Force, che avrà una struttura articolata che passa da tutti i dipartimenti interni del Pentagono: dal segretario allo Stato maggiore, ai comandi operativi e alla comunità di intelligence militare. Scopo essenziale: dipingere il quadro più ampio possibile sulla Cina, anche attraverso le relazioni di diplomazia e politica militare che il Pentagono ha costruito per anni con gli alleati. E qui il quadro Nato è fondamentale, come altrettanto importante è la volontà di continuare a implementare il Quad, partnership finora informale tra Usa, Giappone, Australia e India, che Washington da tempo vorrebbe in qualche modo istituzionalizzare.
Da tempo gli Stati Uniti hanno dato dimostrazione della volontà di re-indirizzare attenzione e risorse al quadrante asiatico, anche rimodulando l’impegno altrove – come per esempio in Medio Oriente, dove l’intenzione è creare un sistema di controllo indiretto. È la strutturazione di un Pivot to Asia teorizzato in epoca Obama poi in parte abbandonato, e durante l’èra Trump riattivato. Biden non sembra tornare indietro, anzi: la nomina di Campbell, messo a coordinare dal Consiglio di Sicurezza nazionale tutte le attività sull’Indo-Pacifico (quadrante da cui gli Usa intendono avviare il contenimento cinse e in cui in questi giorni si stanno addestrando Cina, Russia e Iran), è stata da molti analisti valutata come il simbolo di questa concentrazione sull’Oriente.