Dalla riunione dell’alto funzionario dell’agenzia sul nucleare potrebbero uscire indicazioni positive sulle intenzioni di Teheran che vanno oltre alle dichiarazioni pubbliche. Sul dossier Iran/nucleare pesano diverse dinamiche, innanzitutto quelle interne alla Repubblica islamica in vista delle elezioni presidenziali di giugno. Poi le necessità Usa, l’Europa (e Cina e Russia)
Il capo della Iaea, l’agenzia internazionale per il nucleare, è a Teheran. Rafael Grossi, diplomatico argentino d’esperienza, cerca nella capitale della Repubblica islamica un’interlocuzione più che una mediazione. Da martedì 23 l’Iran inizierà a impedire le ispezioni a sorpresa degli impianti, violando quanto dettato dal protocollo addizionale all’accordo Jcpoa — con cui l’Onu, l’Ue e gli Usa nel 2015 hanno provato a congelare il programma nucleare iraniano.
Grossi sa che è praticamente impossibile invertire la decisione, perché è stata imposta al governo pragmatico-riformista dal parlamento attualmente guidato da conservatori e falchi reazionari. Sulla mossa ci sono due pesi. Uno interno, e riguarda la contrapposizione di questi due articolati fronti in vista delle elezioni presidenziali di giugno (il presidente del parlamento è uno dei candidati possibili dell’eterogeneo fronte conservatore che dall’altro lato potrebbe trovare un suo predecessore). Davanti a questo, il governo Rouhani non può tirarsi indietro dall’implementazione esecutiva dell’azione legislativa per non creare ulteriori, eccessive frizioni.
L’altro è esterno e riguarda gli attori occidentali dentro e fuori il Jcpoa. Con “fuori” si intendono gli Stati Uniti, usciti per volontà trumpiana nel maggio 2018 e adesso in fase di ri-approccio secondo una linea esplicita dettata già in campagna elettorale da Joe Biden. La mossa aggressiva contro la Iaea fa parte di un set di violazioni avviate da tempo dall’Iran (tutte in forma reversibile) con cui Teheran vuol mettere pressione. Pressione che formalmente Washington non può però accettare, davanti a questo non è disponibile a fare il primo passo, e poi c’è un questione di priorità politiche: prima fine delle violazioni, poi rientro americano nel Jcpoa e eliminazione delle sanzioni ri-aggiunte con l’uscita, dicono i Bidens. Il rischio è che il processo vada in stallo.
Quando invece si parla di “dentro” il riferimento va agli europei. Dopo mesi e mesi di attendismo e semi-ininfluenza, gli E3 (Germania, Regno Unito e Francia) e l’Ue nei giorni scorsi hanno fatto un passo avanti e invitato l’intero sistema diplomatico che ha negoziato il Jcpoa a colloquio. Ossia Bruxelles ha offerto la propria piattaforma diplomatica anche a Washington, che con Teheran non parla direttamente. Gli Stati Uniti hanno già accettato, l’Iran sta valutando positivamente l’offerta.
“Stiamo studiando la proposta di Josep Borrell di tenere una riunione informale dei 4 + 1 (membri dell’accordo nucleare) con gli Stati Uniti e l’Iran, e ci stiamo consultando con i nostri partner, compresi Russia e Cina, e risponderemo a questa proposta in il futuro “, ha detto il viceministro degli Esteri iraniano in un’intervista alla Tv di Stato sabato.
Teheran traccheggia tatticamente, tira in ballo i rivali competitivi degli Usa (con cui però in dossier come l’Iran è necessaria cooperazione), muove leve di politica interna. Con ragioni simili sullo sfondo, il viceministro iraniano ha anche detto che il viaggio di Grossi non invertirà la decisione che il governo di Teheran prende su indicazione del parlamento. Ma il capo della Iaea potrebbe rientrare a Vienna (sede dell’agenzia) con un’intesa informale che permetta agli iraniani di giocare in equilibrio su tutti i fronti e di concedere ai funzionari di avere comunque informazioni e verifiche. Una possibilità che dimostrerebbe la disponibilità dell’Iran al di lá delle dichiarazioni pubbliche.