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Tech e finanza. Berlino cerca un nuovo patto con Biden

JP Morgan prevede maggiori investimenti sull’asse Washington-Berlino. Il tutto mentre anche in ambito tecnologico la Germania guida gli sforzi europei per una maggiore autonomia da Pechino. “Le élite tedesche vogliono ribilanciare la propria esposizione sull’Asia, finora molto su Pechino”, commenta Galietti (Policy Sonar)

Mentre Parigi cerca di riallacciare i legami con gli Stati Uniti puntando su difesa e sicurezza, si registra un certo fermento nel mondo economico-finanziario sull’asse Washington-Berlino. Intervistato dal quotidiano finanziario tedesco Handelsblatt, Dirk Albersmeier, numero uno del dipartimento fusioni e acquisizioni della banca d’affari statunitense JP Morgan, ha spiegato di aspettarsi un numero crescente di grandi accordi da decine di miliardi di dollari tra società americane e tedesche. Merito anche della “nuova amministrazione di Joe Biden”, che “probabilmente sarà più aperta a fusioni e acquisizioni transatlantiche”, commenta il giornale tedesco rimarcando le difficoltà durante i quattro anni di Donald Trump alla Casa Bianca.

Ma non è tutto. Guardiamo le ultime mosse in ambito tecnologico. Nei giorni scorsi la società taiwanese GlobalWafers ha acquisito il controllo della tedesca (bavarese) Siltronic dando vita al secondo più grande produttore di wafer di silicio al mondo, dietro la Shin-Etsu. E ancora: su impulso tedesco (in particolare delle case automobilistiche), l’Unione europea starebbe valutando di mettere in piedi una fabbrica di semiconduttori in Europa con la taiwanese Tsmc e la sudcoreana Samsung che potrebbero essere coinvolte nel progetto, come ha rivelato Bloomberg. Obiettivo: ridurre la dipendenza dall’estero per le tecnologie del futuro, a partire dal 5G. Il tutto mentre è fortissimo il pressing dei produttori di semiconduttori statunitensi sull’amministrazione Biden: basti leggere la lettera inviata al presidente dall’associazione di categoria Sia (e firmata, tra gli altri, dai vertici di Intel, Qualcomm e Amd) per chiedere maggiori investimenti nelle aziende del Paese.

Forse, come ha scritto Bloomberg commentando le rivelazione sulla fabbrica europea di semiconduttori, per il Vecchio continente rischia di essere too little, too late vista la supremazia di Stati Uniti, Cina, Taiwan e Giappone nel settore. Forse, ancora, c’è il rischio di andare verso un’eccessiva dipendenza da Taiwan, come avvertono dal Giappone (è sufficiente leggere il Japan Times che non manca di sottolineare lo slancio tedesco verso l’isola che Pechino ritiene una sua provincia). Di certo, però, c’è il dato politico: “Abbiamo sempre più evidenze della volontà delle élite tedesche di ribilanciare la propria esposizione sull’Asia, finora molto sbilanciata su Pechino”, commenta con Formiche.net Francesco Galietti, fondatore e Ceo di Policy Sonar.

Intervistata alcuni giorni fa da Formiche.net, Marta Dassù, direttrice di Aspenia e senior director of European Affairs presso The Aspen Institute, spiegava che sarebbe un’“illusione pensare che, archiviata la parentesi Trump, si possa semplicemente tornare al passato”. Per due ragioni: “Washington chiederà comunque all’Europa, e alla Germania in particolare, di assumere maggiori responsabilità, superando un approccio mercantile alle relazioni internazionali”; “la Germania, inclusa l’opinione pubblica, non nutre più una fiducia incondizionata nell’alleato americano”. Per questo, proseguiva Dassù, servirà una nuova agenda ispirata da un “atlantismo pragmatico”. E gli ultimi segnali sembrano andare in questa direzione.

Ora due banchi di prova per Berlino: il 5G e le prossime mosse sull’accordo sugli investimenti firmato da Unione europea e Cina a fine dicembre.


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