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Sanità, Sud e riforme. Cosa manca nel Recovery Plan secondo Paganetto

La politica cincischia, ma l’Europa ci chiede progetti e riforme, non una lista della spesa che non porterebbe ad alcuna crescita. Conte Ter o no, ecco da dove partire. Il documento del Gruppo dei 20 firmato dal presidente della Fondazione Economia Tor Vergata

Il governo che verrà, Conte Ter o qualunque altra cosa sia, dovrà calare tre assi se vorrà portare fuori il Paese dalla notte più buia da otto decenni a questa parte. Luigi Paganetto, economista di lungo corso, anima del famoso Gruppo dei 20 in seno alla Fondazione Economia di Tor Vergata e vicepresidente di Cassa Depositi e Prestiti, lo sa fin troppo bene.

Non è certo la prima volta che dal Gruppo dei 20 arriva un’agenda per il governo. Però stavolta è diverso, c’è urgenza di fare presto (mancano meno di due mesi alla scadenza dei termini per inviare a Bruxelles il Recovery Plan definitivo). Dunque, idee chiare e subito. Per questo Paganetto ha preso carta e penna e redatto il documento, visionato da Formiche.net, Sanità, riforme e Mezzogiorno. Tre assi per rivitalizzare il Paese, che ha  beneficiato dei contributi di Massimo Andreoni, Enrico Garaci, Adriano Giannola, Paolo Guerrieri, Stefano Micossi, Nicola Rossi, Pasquale Lucio Scandizzo, Vincenzo Scotti, Federico Spandonaro, Giovanni Tria e delle osservazioni di Gloria Bartoli, Giampaolo Galli e Amedeo Lepore.

BASTA INDUGIARE

“Non c’è dubbio su quale sia l’urgenza dei tempi della pianificazione delle politiche e degli interventi e della loro attuazione”, premette Paganetto. Ma “riflettiamo su un dato: dalle autorità dell’Unione ci vengono richiesti cambiamenti istituzionali di funzioni essenziali di un Paese moderno dagli apparati della Pa, della giustizia, della scuola e dell’università e ricerca. Non c’è bisogno del richiamo della Commissione europea per guardare con preoccupazione ai tempi e ai modi dei percorsi autorizzativi necessari a varare opere pubbliche, nonché all’esperienza fatta sin qui con la pandemia in materia di servizi sanitari, di cui abbiamo riscoperto in questi drammatici mesi la centralità per il benessere di tutti”. In altre parole, “al nostro Paese viene chiesto non solo di utilizzare nel modo più efficiente e tempestivo le risorse finanziarie messe a disposizione, ma viene chiesta una riorganizzazione dello Stato sul terreno del cambiamento amministrativo e nel pieno di una bufera, senza avere il tempo e la possibilità di portare in cantiere la nave degli apparati pubblici”.

L’ORA DI UN (GRANDE) SFORZO SANITARIO

Chiarita l’urgenza, secondo Paganetto serve un grande sforzo nazionale, per agguantare quanto prima le opportunità del Recovery Fund. Primo tassello, la sanità. “Per cogliere la straordinaria occasione che ci è offerta serve un grande sforzo progettuale. Proprio perché siamo in una pandemia e in una crisi economica, di cui in principio a nessuno sfuggono le implicazioni, occorre procedere subito a dare concreta attuazione all’idea, in principio da tutti condivisa, che la questione sanitaria (come diciamo fin dai primi giorni) è una priorità da cui non si può prescindere e che non può essere ridotta alla sola questione, pur importante, dell’ammontare di risorse che le sono dedicate nel Recovery Plan, ma quella di un piano organizzativo dell’impegno sanitario sul territorio che ancora non c’è, in particolare rispetto all’intervento vaccinale, assolutamente necessario per fronteggiare i dati epidemiologi attuali e prospettici”.

L’indicazione che emerge dal documento, è chiara. “È certo che bisogna modificare un sistema troppo ospedalocentrico con un impegno su punti di assistenza distribuiti sul territorio e l’assistenza domiciliare, una sorveglianza epidemiologica informatizzata, un tracciamento che funzioni, con interventi che anziché rincorrere la pandemia ne precorrano le fasi di maggiore virulenza”. D’altronde, “il piano vaccinale, allo stato attuale, è del tutto insufficiente. Serve un piano vaccinale con tempi e logistica preordinati, una comunicazione che risponda ad una precisa visione dell’andamento della pandemia, piuttosto che agli alti e bassi della virulenza. Serve un Piano organizzativo dell’impegno sanitario sul territorio, accompagnato da un deciso aumento delle risorse dedicate alla sanità e di personale medico”.

NO ALLA LISTA DELLA SPESA

L’altro capitolo, sono le riforme. E anche qui il tempo per ragionare è poco. L’Europa chiede riforme e non una lista di bisogni da soddisfare con i soldi dell’Ue. “Per quel che riguarda la filosofia generale del Recovery Plan essa non deve basarsi su una programmazione di mero rilancio con misure per la sola ripresa ma, soprattutto, su un’idea di come realizzare l’aumento del tasso di crescita di cui abbiamo assoluto bisogno, anche per assicurare nel medio periodo la restituzione del debito sin qui contratto: non possiamo poi rischiare di presentare a Bruxelles un piano che rischia di ottenere il solo anticipo di risorse, a meno di non integrarlo, come necessario, con obiettivi, risultati attesi, tempi previsti, congruità costi-benefici dei progetti presentati, simulazione dell’impatto degli interventi che stia al centro dell’impianto complessivo del Recovery Plan”.  Non si può, in altre parole “proporre un Piano che, allo stato attuale, è più una rappresentazione di bisogni che di scelte progettuali”, scrive Paganetto.

E la governance? Anche qui gli economisti di Tor Vergata hanno le idee chiare. “Essa (la governance, ndr) deve comunque collegarsi alle strutture amministrative esistenti, Cipe, Mef, o a un organismo di coordinamento di responsabili dei singoli ministeri presso la presidenza, come nella proposta Assonime. Non può essere certamente fatta la scelta di un organismo diverso e disgiunto dagli organi esistenti della Pa. In questo senso il Recovery Plan continua ad essere largamente insoddisfacente perché, nella sua impostazione generale, è inadeguato rispetto al compito che deve sostenere, quello di indicare un percorso capace di portare il nostro Paese su un sentiero che innalzi nei prossimi anni, in maniera permanente, benessere e tasso di crescita potenziale, nel rispetto dei criteri di sostenibilità dello sviluppo, in maniera da evitare un ulteriore distanziamento dai principali paesi europei. La questione non è quella della ripresa, per la quale il problema si porrebbe in termini differenti perché si potrebbe considerare sufficiente, come accade nel caso delle recessioni legate al ciclo economico, il suo contrasto attraverso un’attività di spesa capace di produrre sufficiente domanda. Ci troviamo oggi, lo ripetiamo spesso, ma non ne traiamo le conseguenze, ad una svolta epocale che ha fatto emergere cambiamenti che esigono adattamenti non più rinviabili del nostro sistema economico”.

RIFORME E ANCORA RIFORME

Ma quali le riforme da affrontare, senza troppi preamboli? “Alla richiesta che viene dall’Europa di riforma della nostra Pa, della giustizia civile e della scuola e formazione, non si può rispondere con misure episodiche, come le assunzioni e acquisto di strumenti informatici, cashless, assunzioni di docenti, una riforma fiscale che si limita a modifiche delle aliquote Irpef, un progetto di riforma della giustizia civile pur all’attenzione delle competenti Commissioni Parlamentari che non assicura tempi e certezza delle decisioni”, rileva ancora Paganetto. E l’ultima manovra approvata due mesi fa, è un precedente pericoloso. “Va sottolineato che l’ultima legge di bilancio è esattamente l’opposto perché, per giudizio generale, è un insieme di sussidi di vario tipo”.

MISSIONE MEZZOGIORNO

Chi non va dimenticato è, infine, il Sud. “Il Mezzogiorno, per la sua centralità nei rapporti con la sponda sud del Mediterraneo, è l’area che può offrire, più di altre che hanno già avuto il loro take-off, la possibilità di un innalzamento del nostro tasso di crescita. Perché ciò avvenga occorre puntare sui veri fattori di vantaggio del Mezzogiorno che non sono quelli modesti e soprattutto effimeri offerti dal Piano con la decontribuzione degli oneri sociali (7% di vantaggio competitivo), con 4 miliardi di spesa annua a carico del bilancio pubblico”.

E allora? Allora “occorre puntare sui veri fattori di vantaggio del Mezzogiorno Piuttosto, essi sono, innanzitutto, l’investimento sulla sua infrastruttura istituzionale (valga per tutti l’esempio della sanità) e poi sul suo sistema portuale e, soprattutto, sulle aree di retroporto, l’investimento sul sistema dei trasporti tra tirreno e adriatico (dorsale Napoli-Bari), sulle autostrade del Mare che, oltre ad alleggerire il traffico via terra, potrebbero incentivare l’entrata in servizio di navi con motori innovativi per tecnologia e meno inquinanti (quelli a gas metano) delle acque del Mediterraneo. Né va dimenticata l’importanza di un salto di qualità nell’impegno di risorse per le zone economiche speciali, che hanno rappresentato un fattore di traino per lo sviluppo. Di tutto questo non c’è gran traccia nel Recovery Plan”.


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