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Nato e Ue alla prova Biden. Alli spiega cosa cambia

Dazi, Ucraina, Turchia, Russia. L’agenda di Biden per l’Ue e la Nato è piena di insidie. Ma chi pensa che si tratti di una semplice restaurazione dell’era Obama potrebbe sbagliarsi. L’analisi di Paolo Alli, nonresident Senior fellow dell’Atlantic Council e già presidente dell’Assemblea parlamentare della Nato

Osteggiata da Trump che, da businessman quale è sempre stato, l’ha considerata fin da subito come un concorrente più che come un naturale alleato, l’Ue ha mostrato tutti i propri limiti politici e decisionali. Solo l’esplodere della pandemia sembra avere improvvisamente fatto cambiare rotta alle istituzioni europee, costrette ad affrontare la più grande emergenza degli ultimi 70 anni. L’enorme sforzo messo in atto sotto il profilo della solidarietà economica e finanziaria, soprattutto attraverso l’istituzione del Next Generation Fund, sembra preludere ad una ritrovata unità di intenti anche sotto il profilo politico.

È assai probabile che, come previsto e auspicato dalla gran parte degli analisti, il presidente Joe Biden cambi in modo sostanziale l’atteggiamento nei confronti dell’Europa. Le limitazioni agli scambi commerciali con i paesi europei in nome della riduzione del deficit commerciale, ottenute anche con l’applicazione di dazi, non rispondono certo alla logica del partenariato che ha sempre contraddistinto i rapporti tra le due sponde settentrionali dell’Atlantico, quanto piuttosto alle politiche protezioniste di Trump legate al suo slogan America First.

I segnali subito inviati dal nuovo Presidente a Boris Johnson rispetto alla necessità di una Brexit condivisa con la Ue, pena un pesante ridimensionamento dei rapporti tra Usa e Regno Unito, sembrano andare nella direzione di tranquillizzare Bruxelles.

L’immediata reazione del presidente francese Emmanuel Macron, che ha rilanciato sull’esercito comune europeo, prospettiva invero assai remota, appare più come una provocazione per saggiare le reazioni di Joe Biden su 89un tema particolarmente delicato quale quello della difesa e. conseguentemente, della stessa Alleanza Atlantica.

Sul fianco est e sud-est dell’Europa, tra i dossier più spinosi vi sarà, certamente, quello ucraino, sia per la contrapposizione frontale tra Kiev e Mosca, sia per le vicende che avrebbero visto coinvolto il figlio dello stesso Biden.

Non meno complesso sarà il tema dei rapporti con la Turchia. Ankara è un solido alleato nella Nato, anche se l’atteggiamento ondivago di Erdogan ha, negli ultimi anni, creato non poche frizioni con l’Alleanza, a cominciare dall’acquisto dei missili russi S-400. L’attuale competizione con Mosca per il controllo della regione mediterranea potrebbe, tuttavia, far pendere l’ago della bilancia di Ankara nuovamente verso un dialogo con l’occidente, specie se Usa e Europa metteranno assumeranno atteggiamenti risoluti, senza però arrivare ad applicare sanzioni, come chiesto apertamente da Grecia e Cipro.

Sul fronte della politica interna europea,  la mancata rielezione di Trump costituisce un brutto colpo per il cosiddetto asse populista e costituisce, se non lo stop definitivo, almeno una brusca battuta d’arresto nella realizzazione di quella internazionale sovranista che vedeva in Trump il proprio leader naturale.

La decisione di Ungheria e Polonia di opporsi al bilancio Ue rappresenta una evidente dichiarazione di resa, un colpo di coda estremo che, senza la sponda di Washington, non potrà avere vita lunga.

I Paesi membri dell’Unione Europea dovrebbero cogliere l’occasione di questa discontinuità per rimettere in discussione i fondamenti stessi dei trattati per rendere sempre più efficiente e vicino ai cittadini il funzionamento delle istituzioni comunitarie, a partire dal principio dell’unanimità.

Sicurezza globale e NATO

La Nato è stata messa duramente e ripetutamente in discussione da Trump, all’insegna del tema – peraltro già posto dallo stesso Obama fin dal 2014 – del burden sharing, cioè della necessità di un aumento dell’impegno finanziario da parte di tutto gli alleati, con l’obiettivo di portare entro il 2024 le spese per la difesa verso l’ormai celebre 2% del PIL.

L’Alleanza Atlantica ha, peraltro, resistito egregiamente ai tentativi di delegittimazione via tweet, grazie alla propria capacità di reazione e adattamento, ma anche per il fatto che essa continua a costituire la più forte alleanza politico-militare del pianeta.

L’impegno della Nato su fronti nuovi quali la cyber security, la lotta alla disinformazione, la difesa dello spazio extra-atmosferico, il contrasto al terrorismo ne fanno un attore indispensabile nello scenario, sempre più complesso, della sicurezza globale. Anche la straordinaria capacità di impegno e solidarietà dimostrata dalla Nato in occasione della pandemia, ne ha rafforzato la percezione positiva da parte dell’opinione pubblica. Biden sarà chiamato a gestire una situazione assai complessa nei rapporti con gli alleati e dovrà mettere in atto interventi che consentano all’Alleanza di concentrarsi sulle sfide esterne, piuttosto che gestire questioni di equilibrio interno

Lo stesso tema del rapporto con la Turchia e le accuse di inerzia che la Nato subisce oggi rispetto ad alcune situazioni delicatissime, come quella del Mediterraneo orientale, che vede uno scontro aperto tra Atene ed Ankara, sono figlie della delegittimazione politica operata per quattro anni dall’azionista di maggioranza statunitense. Un ritrovato e convinto appoggio alla Nato da parte di Biden costituirebbe il miglior modo per ridarle autorevolezza anche sul piano del rapporto con gli alleati, Turchia e Grecia comprese.

La decisione di Trump di ritirare i soldati americani da Afghanistan e Iraq suona come l’estremo tentativo di avvelenare i pozzi al proprio successore, del quale non riconoscerà mai la legittimità. Contro questa ipotesi, che in questo momento provocherebbe conseguenze disastrose, si sono già apertamente schierati sia la Nato, sia gran parte dei repubblicani. I rumors di sondaggi fatti dal presidente uscente rispetto a un possibile attacco all’Iran sono ulteriori segnali della resa armata di Trump, deciso a rendere quanto più possibile in salita la strada al nuovo inquilino della Casa Bianca.

 

Sesta e ultima puntata di una serie di approfondimenti sull’amministrazione Biden-Harris di Paolo Alli

Qui le puntate precedenti: 1)  2)  3)  4)  5)

 



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