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Salvini incontra Draghi e chiede più Europa. La svolta è compiuta

Di Filippo Salone

Il voto a favore del Recovery Plan in Ue che spacca i sovranisti. Il manifesto “europeista” all’uscita dalle consultazioni con Draghi. La svolta della Lega e di Matteo Salvini è (quasi) compiuta. L’analisi di Filippo Salone, public affairs manager Fondazione Prioritalia, già autore di “Il fenomeno leghista, perché nasce, perché si afferma” (Rubbettino editore)

Bando agli equivoci. Il voto a favore della Lega al Recovery Plan di Bruxelles apre uno spaccato nella famiglia sovranista. E le parole di Matteo Salvini, uscito dal secondo giro di consultazioni con Mario Draghi, sgombra gli ultimi dubbi sulle prossime mosse a Roma. Un inno all’Europa. Perfino per l’immigrazione la Lega guarda a “politiche di stampo Ue”. “Io ho due figli che nascono, crescono e pensano in Europa”.

Dopo mesi di Nutella e populismo situazionista, Salvini ha colto l’occasione Draghi per posizionare nuovamente la Lega tra le forze governiste, in prossimità della storica constituency della Lega, radicata tra i ceti produttivi e la piccola borghesia del Nord.

Certo la “strambata” è stata abbastanza repentina e per molti lo “spin” giusto è stato non suo, ma dell’eminenza grigia Giancarlo Giorgetti che pure è ormai da quasi un ventennio stimato dirigente del Caroccio e lungimirante Richelieu dei segretari succedutisi alla guida. Se prendi Salvini prendi Giorgetti insomma, e viceversa, il pacchetto è unico ed invisibile. Ma c’è di più. Il cambio di rotta non è limitato ad un’operazione residuale e di mero posizionamento tattico. Che pure non sarebbe da sottovalutare.

Molti elementi di queste ore fanno infatti pensare che la Lega possa entrare nell’esecutivo Draghi non come semplice socio ma tra i principali azionisti di maggioranza, ovvero come maggiore imprenditore politico del piano di rilancio che a livello economico e di sviluppo il nuovo Governo, come specchio e fattore della credibilità di Draghi, metterà sul tavolo di Bruxelles.

Su Twitter, piattaforma più reattiva a fiutare il vento, spopola infatti il trend #salvinieuropeista e dalle parti di Via Bellerio d’altra parte gongolano all’idea di una ritrovata centralità sistemica, tanto che anche i pasdaran no euro Borghi e Bagnai sembrano repentinamente orientati a più moderate considerazioni.

Bisogna invero ricordare che se si inforca la lente del passato allora non è sufficiente soffermarsi ai recenti insight anti sistema del Carroccio o alle campagne euroscettiche dell’attuale segretario, ma occorre considerare anche il ruolo che storicamente la Lega ha assunto come forza di sistema e sindacato territoriale di un’area (Lombardia e Veneto) che per peso specifico e centralità economica è assolutamente trainante. E che fa della propria collocazione pienamente europea, la principale reason why di una peculiare domanda di rappresentanza, ancorata da sempre al pragmatico materialismo degli “Schèi”.

Storia quindi, a proposito come non ricordare il ruolo chiave di Giorgetti nella famosa estate 2011 allorché come Presidente della Commissione Bilancio della Camera e relatore della manovra di bilancio che si trovò a traghettare le riforme scritte nero su bianco dall’ex Presidente della Bce Draghi, ma anche geografia politica con la consistenza che la rielezione quasi plebiscitaria di Luca Zaia, appena qualche mese fa, testimonia in maniera insindacabile.

Aldilà quindi degli stilemi di comunicazione pop che caratterizzano a volte in maniera grossolana e grottesca Salvini, funzionali a mantenere alto il livello di empatia con la propria “fan community” anche a costo di sgrammaticature demagogiche, l’impressione è quindi che la Lega si possa riappropriare nel medio lungo periodo di un ruolo strategico importante, capace di tradurre in indirizzo politico lo storico ancoraggio territoriale e quindi il feeling con i ceti produttivi del Nord in cerca, mai come oggi, di un soggetto politico garante rigoroso degli interessi d’impresa, bilanciando così, nell’ambito del Piano di Rilancio e dell’agenda Draghi, le istanze legate al modello prevalentemente assistenzialista dal reddito di cittadinanza in poi.

Per dirla alla Yascha Mounk, insomma, nel cleavage tra democrazia e populismo con l’opzione Draghi la Lega rientra nell’alveo del sistema e funge nuovamente da utile portavoce di interessi costitutivi, lasciando ad altri attori il ritorno di vantaggio immediato, ma fatalmente  improduttivo, tipico dell’abito populista.

Un nuovo dressing code post ideologico con il quale il Carroccio, dopo la distopia sovranista e il fanatismo di Bannon, proverà ad accreditarsi nuovamente come “forza tranquilla” in Europa, recuperando una credibilità e una legittimità sistemica a tutti gli effetti e quindi abiurando, come primo inesorabile passo, il gruppo di estrema destra populista “Identità e democrazia” in cui siede al Parlamento Europeo.

Filippo Salone, public affairs manager Fondazione Prioritalia , già autore del saggio “Il fenomeno leghista, perché nasce, perché si afferma” (Rubbettino editore)

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