Mentre uno studio rivela l’efficacia del vaccino russo, aprendo opportunità politiche per Mosca su cui Berlino si è già messo al lavoro, Washington detta le condizioni affinché la cooperazione russo-tedesca non superi determinati paletti e resti controllabile dalla strategia Usa
Il Cremlino aspettava la conferma che il suo vaccino anti-Covid, “Sputnik V”, avesse termini di efficacia alti. Il fatto che intanto avesse iniziato la distribuzione spiega il senso dell’attesa: anticipare i tempi, allargare la base dei test clinici con la diffusione, serviva e per bruciare sul tempo gli avversari della corsa al siero, e per ottenere risultati facili su un set più ampio di individui. Lo studio pubblicato su Lancet (rivista medica inglese, tra le più autorevoli del mondo) è di importanza centrale perché permette a Vladimir Putin di mostrarsi in grado di cooperare quando qualcuno da Bruxelles chiamerà a Mosca — semmai questo accadrà.
Come con la firma per il prolungamento dell’accordo “New Start” sulle testate nucleari, anche con l’arma strategica antivirale c’è spazio perché Putin si mostri honest broker con l’Occidente sui grandi temi, nei momenti importanti. Spazio per lo storytelling, ma non solo. Per tale ragione, lo studio di Lancet che certifica un’efficacia del 91,5 per cento per Sputnik V —ossia del tutto simile ai prodotti americani di Pfizer e Moderna — non rappresenta solo un successo scientifico e un’opportunità commerciale. Il vaccino così efficace è un’occasione narrativa enorme, e dunque ha valore politico (e geopolitico).
Da Berlino per esempio Angela Merkel ha già fatto sapere che “ogni vaccino è benvenuto nell’Unione Europea”. La cancelliera tedesca parla a nome di un’Europa che inizia a sentirsi a corto di dosi e di piani/logistica vaccinali, e per questo i risultati sul siero russo escono in un momento che segna l’opportunità. Che la Germania percepisce, per questo non esclude già che — se la Ema dovesse dare il via libera al farmaco — allora le fiale destinate all’Europa potrebbero essere prodotte da fabbriche tedesche sotto know how russo.
È qualcosa di grosso, in una tempistica critica, che segnerebbe la naturale congiunzione che spinge la Germania verso la Russia e viceversa. Qualcosa che serve a Putin per mostrarsi disponibile nel momento del bisogno e cancellare (almeno dal flusso pubblico) tante malefatte, e a Merkel per recuperare terreno sulla linea con Mosca (che resta severa solo nella retorica e per questo viene criticata).
È qualcosa — l’allaccio di carattere industriale dal sapore politico/strategico — che non può piacere a Washington, che per evitare la saldatura Mosca-Berlino ha già fatto due guerre e mezza. Non a caso nei giorni scorsi la Casa Bianca ha comunicato che il presidente Joe Biden ritiene il gasdotto Nord Stream 2 “un cattivo affare per l’Europa”, indicando la saldatura russo-tedesca — in questo caso declinata dalla pipeline di Gazprom con approdo in Germania — come un problema per il continente. Leggasi per le relazioni con gli Stati Uniti, e in definitiva per gli Stati Uniti.
Mai come ora l’amministrazione Biden aveva criticato così pesantemente il progetto – a cui mancano ormai solo pochi chilometri – eppure ha anche annunciato di mettere in revisione le sanzioni imposte dal proprio predecessore (che nella narrazione era descritto come colui che considerava l’Europa alla stregua di un rivale, mentre in Biden si ripone fiducia per la ricostruzione di un sentimento, prima ancora di una relazione, transatlantico).
Washington è in colloqui con Berlino. Il quotidiano economico Handelsblatt rivela che gli americani avrebbero formulato richieste esplicite: primo, costringere i russi a rinegoziare il contratto del transito di gas con l’Ucraina; secondo prevedere un modo per bloccare Nord Stream 2 se Mosca dovesse minacciare Kiev di interrompere il flusso di idrocarburi (i temi sono centrali e collegati: la preoccupazione strategica è doppia, sia perché il gasdotto del nord darebbe eccessiva priorità all’accesso del gas russo via Germania, sia perché una volta tagliata fuori l’Ucraina sarebbe debole e la guerra dal Donbass potrebbe allargarsi).
La partita è complessa dunque: in cambio Washington potrebbe sollevare le sanzioni– che colpiscono le aziende europee che hanno lavorato nel Nord Stream 2 sotto la formula dell’extraterritorialità, dunque ne complicano lavori negli o con gli Usa – a Berlino (e Bruxelles). In definitiva, gli Usa compendo che la terminazione dell’opera non è discutibile a questo stadio dei valori, ma vogliono condizioni precise.
Gli Usa temono che la Germania sia troppo incentrata sul business, questo è il tema, sia quando spinge la firma per accordi con la Cina (come quello commerciale noto come “Cai”) lasciando da parte le grande distanze tra il modello ideale dell’Alleanza delle Democrazia e dimenticando davanti all’economia l’autoritarismo cinese; sia quando lascia indietro questioni aperte come l’Ucraina e l’equilibrio del fronte orientale Nato per accettare il ruolo di hub del gas russo.
Il gioco americano si basa anche su due fattori di criticità interni: uno alla Germania – dove si consuma il dibattito su cosa sia giusto o non giusto fare, e con chi, in nome dell’economia – e un altro all’Ue. La Francia ha già preso posizione critica sul Cai con la Cina e ora la riprende col Nord Stream. Quando – e se – toccherà a Sputnik V la partita potrebbe ripetersi.