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Sull’Iran si pensava che Biden avesse bruciato i tempi, e invece…

Il dialogo con l’Iran è possibile, ma come? Chi farà il primo passo e soprattutto quale? La questione è di tempistiche e di priorità: per ora Washington pensa ad altro, e a Teheran hanno interesse che tutto “non resti solo su carta”, spiega Bassiri Tabrizi (Rusi)

Per la seconda volta in tre settimane i consiglieri per la Sicurezza nazionale di Stati Uniti e Israele hanno avuto un incontro (virtuale, in videcall) sull’Iran – a conferma che sebbene non arrivi la telefonata tra presidente e primo ministro il dialogo tra i due alleati è attivo ruota attorno al più delicato dei dossier. Qatar e Oman hanno ufficializzato giovedì la loro disponibilità nel permettere un nuovo tavolo di di negoziati tra Washington e Teheran. Nella sua prima intervista televisiva da presidente, l’americano Joe Biden ha però gelato in parte alcuni slanci sulla ricomposizione del dialogo con l’Iran: gli Stati Uniti non solleveranno le sanzioni contro Teheran se prima la Repubblica islamica non interromperà le violazioni controllate dell’accordo nucleare Jcpoa.

In questi stessi giorni, il segretario di Stato, Anthony Blinken, è tornato sull’argomento in modo praticamente identico: parlando sulla CNN ha detto che secondo l’amministrazione statunitense è l’Iran che dovrebbe fare la prima mossa nei negoziati – mossa dopo la quale gli Stati Uniti potrebbero rientrare nell’accordo nucleare da cui Donald Trump è uscito in forma unilaterale nel 2018.

“Se l’Iran tornasse alla compliance […] faremmo la stessa cosa”, ha detto Blinken, e useremo il patto come punto di partenza per formare un “accordo più lungo e più forte” che includa altre questioni, incluso il programma missilistico iraniano (e forse anche il controllo delle politiche regionali mosse da alcune fazioni interne all’Iran tramite partiti/milizia proxy).

“Siamo in una situazione mista: prima e appena dopo l’elezioni di Biden c’era molto ottimismo che la situazione si sarebbe risolta rapidamente, ma ora si pone la questione della sequenzialità. Ossia: chi fa il primo passo, ma soprattutto come si fa il primo passo?”, spiega a Formiche.net Aniseh Bassiri Tabrizi, esperta dell’International Security Studies del Rusi, storico think tank di Londra.

Davanti alla questione aperta da oltre due anni, con l’arrivo di Biden le possibilità sembrano due: o riavviare un contatto lento pensato per riacquisire fiducia reciproca, oppure un primo passo importante da parte di uno dei due attori. Su queste colonne, Nicola Pedde (Igs) suggeriva la possibilità che la mossa iniziale fosse statunitense, magari utilizzando il meccanismo degli waivers sul mercato petrolifero, ossia concessioni specifiche e temporanee con cui Washington avrebbe potuto allentare le sanzioni extraterritoriali per esportazioni di petrolio iraniano verso paesi specifici (come India, Corea del Sud e Giappone, o Cina).

Le uscite di Biden e Blinken sembrano escludere questo meccanismo. “Da parte americana c’è esitazione: si riconosce che l’amministrazione Trump ha intrapreso una politica sbagliata, ma c’è preoccupazione per i passi dell’Iran sul nucleare, e Washington teme che facendo troppe concessioni finisca per perdere il leverage su altre questioni (come i missili e le politiche regionali, ndr)”, continua Bassiri Tabrizi.

In questi giorni il Wall Street Journal ha pubblicato un articolo riportando i contenuti di un report Onu visto in esclusiva: l’agenzia Aiea delle Nazioni Uniti ha scoperto che l’Iran ha prodotto una piccola, nuova quantità di uranio metallico compiendo un’altra violazione di rilievo, perché l’uranio potrebbe essere arricchito ed essere sfruttato per costruire un’arma nucleare – per ora sarebbero stati prodotti solo 3,6 grammi e non arricchito, mentre per una bomba ne servono circa 500 grammi arricchito.

Davanti alla situazione generale, secondo l’esperta del Rusi le eventuali concessioni americane sarebbero, almeno nel breve termine, nel campo umanitario: per esempio sui fondi Fmi (su cui l’amministrazione Trump ha posto il veto), o su alcune transizioni finanziarie (anche tramite il sistema Instex) e sui farmaci (anche questi bloccati in un momento critico della pandemia): “Washington pensa principalmente a un atto finanziariamente innocuo e a favore dei cittadini, non della leadership, ma gli iraniani molto probabilmente non lo considererebbero sufficiente, perché loro sentono l’economia colpita in profondità dalle sanzioni americane e dall’isolamento finanziario ed energetico che ne consegue”.

In tutto questo, c’è una tempistica stringente: il 21 febbraio il governo iraniano dovrebbe recepire la richiesta del parlamento di violare il protocollo addizionale al Jcpoa e ridurre le ispezioni dei funzionari dall’agenzia internazionale per il nucleare. “Su questo – spiega Bassiri Tabrizi – c’è molta preoccupazione soprattutto in Europa, perché l’apertura agli ispettori è stato ciò che ha tenuto in piedi il Jcpoa finora. È stato ciò che ha permesso agli E3 di capire che attività sta conducendo Teheran davvero, al di là di quanto affermato”.

Gli europei sono un tema: teoricamente punto di contatto tra Iran e Stati Uniti hanno assunto per lungo tempo posizioni poco solide e via via meno influenti. “Gli americani stanno cercando di spingere gli europei a giocare un ruolo di maggiore intraprendenza sugli aiuti economici all’Iran, ma anche qui: come? Senza togliere le sanzioni secondarie questo è quasi impossibile. Il problema è che l’amministrazione Biden ancora non sembra nella condizione di considerare la rimozione di queste sanzioni, almeno in tempi brevi; la sta considerando come opzione, così come i waiver, ma le priorità sembrano altre”, aggiunge l’esperta.

Il tema Iran è più volte uscito in queste settimane, ma potrebbe essere posturing, prese di posizioni per ragioni di mantenere un punto negoziale e per ragioni di carattere interno, sia a Washington – dove la pandemia e la crisi economica sono certamente in un punto più alto nell’agenda di azione presidenziale – che a Teheran: “L’Iran è abbastanza consapevole che certe scelte da parte di Biden richiedono tempo, e mentre pubblicamente tiene una linea è interessato più che altro a far sì che i processi si muovano e non restino solo su carta“.


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