Alleanze flessibili, a geometrie variabili e, se serve, non dichiarate (per convincere i Paesi europei). Così Biden vuole riaffermare il dominio dell’Occidente contro i tecno-regimi, a partire dalla Cina
Con la frase “la democrazia deve prevalere” pronunciata alla Munich Security Conference, il presidente statunitense Joe Biden ha definito le relazioni con la Cina come “un scontro di valori”, democrazia contro autocrazia, come ha efficacemente riassunto il Wall Street Journal. A partire dal settore tecnologico. Basti pensare a quel “divario crescente tra tecno-democrazie e tecno-autocrazie” a cui aveva fatto riferimento il segretario di Stato Antony Blinken davanti alla commissione Affari esteri del Senato statunitense in occasione della sua audizione di conferma.
È lo stesso Wall Street Journal a rivelare gli sforzi che l’amministrazione Biden sta già mettendo in cambio per fronteggiare l’ascesa cinese in settori decisivi per l’economia e la sicurezza nel futuro come i semiconduttori e l’intelligenza artificiale. La strategia di questo fronte democratico immaginato a Washington ha “elementi sia offensive sia difensivi”, scrive il Journal. “Unendo le forze, gli Stati Uniti e i loro alleati possono spendere molto più della Cina, il cui budget per ricerca e sviluppo ora corrisponde circa a quello degli Stati Uniti. Le alleanze possono anche coordinare politiche con l’obiettivo di negare alla Cina le tecnologie di cui ha bisogno per cercare di diventare un leader globale”.
L’idea, definita anche D-10 (“d” come democrazie) o Tech-10 (o addirittura 12), però potrebbe avere geometrie variabili. Diverse cioè da quel formato di G7 allargato ad Australia, Corea del Sud e India che il prossimo meeting dei Sette organizzato dal Regno Unito potrebbe suggerire. Il che dimostra, come ha fatto notare su Twitter Andrew Small, senior transatlantic fellow del German Marshall Fund, l’approccio ampio e multilaterale scelto da quest’amministrazione (in netto contrasto con il braccio di ferro impostato da quella precedente guidata da Donald Trump) nel fronteggiare l’ascesa cinese.
Su temi come l’intelligenza artificiale potrebbe venire coinvolto anche Israele, Paese leader al mondo nel settore. Un’alleanza che si occupa di controlli delle esportazioni potrebbe, invece, vedere anche la partecipazione dell’India, “per assicurarsi che la Cina non possa importare determinate tecnologie”, scrive il Journal. Inoltre, “per incoraggiare i Paesi che temono di offendere la Cina aderendo alle alleanze, l’amministrazione potrebbe non annunciare la loro partecipazione, ha detto un funzionario dell’amministrazione” al quotidiano statunitense. Il che sembra a tutti gli effetti un modo per convincere quei Paesi europei come Germania e Francia che – come raccontato recentemente su Formiche.net e come fatto notare su Twitter anche dall’esperto di Eurasia Group Paul Triolo – appaiono restii a formalizzare un’alleanza simile per paura di ripercussione da parte cinese.
Dunque, alleanze che possano coprire molti temi, dal 5G al quantum computing fino alle biotecnologie, ma che siano flessibili ed evitino la burocrazia. “La creazione di un’altra istituzione internazionale si presterà a grandi annunci senza che venga fatto nulla”, ha detto Anja Manuel, ex funzionaria del dipartimento di Stato ai tempi di George W. Bush. “Con la tecnologia dobbiamo essere agili”. L’obiettivo è comunque sempre lo stesso: evitare di essere sotto scacco di Pechino rendendo l’Occidente (inteso in senso filosofico e non esclusivamente geografico) più autonomo.
La prima contromisura che l’Occidente deve mettere in pratica contro i tecno-regimi? “Le democrazie devono unirsi e stabilire norme e standard comuni sull’uso accettabile delle tecnologie e su come affrontare gli abusi”, aveva spiegato poche settimane fa Steven Feldstein, senior fellow del Democracy, conflict and governance program presso il Carnegie Endowment for International Peace, intervistato da Formiche.net. “Sarebbe opportuno che le democrazie riflettessero più attentamente sui modi per contrastare la diffusione di tecnologie avanzate dai loro Paesi ai leader autocratici, come l’uso di una combinazione di diplomazia, sanzioni e controlli sulle esportazioni”, aveva aggiunto.