Priorità economiche e strategiche, necessità per il futuro, ambizioni internazionali. Ecco cosa spinge Riad e il Medio Oriente verso il green, mentre gli Usa spingono sul tema alleati e rivali. Uno sguardo ravvicinato al piano annunciato dal principe ereditario Mohammed Bin Salman
Il principe ereditario saudita, Mohammed Bin Salman, ha annunciato la “Saudi Arabia Green Initiative” e la “Middle East Green Initiative”, ossia le due direttrici per il regno e per l’intera regione verso una maggiore responsabilità nella tutela dell’ambiente (con evidenti contraccolpi sul settore energetico globale, visto il ruolo che Riad e la regione occupano in quel mondo).
Se anche il principale produttore al mondo di petrolio, l’Arabia Saudita, rilancia la transizione green col massimo della spinta mediatica, significa che la questione — squisitamente strategica — ha scalato l’agenda delle priorità. Un altro degli effetti Biden, visto il peso che il nuovo presidente americano ha dato alla transizione energetica e al Clima in questi primi cento giorni di azione politica.
Peso che l’America di Joe Biden sposta sugli alleati, dagli europei (vedere l’importanza che al tema è stata data nell’intervento al Consiglio Ue nei giorni scorsi) a quelli extra-transatlantici come appunto Riad e vuole usare come proxy per testare la cooperazione (possibile?) con i rivali.
“In qualità di leader mondiale di produttore di petrolio, siamo pienamente consapevoli della nostra parte di responsabilità nel portare avanti la lotta contro il cambiamento climatico e che, come nostro ruolo pionieristico nella stabilizzazione dei mercati energetici durante l’era del petrolio e del gas, agiremo per guidare la prossima era verde”, ha detto il principe ereditario di Riad durante l’annuncio delle iniziative.
Per l’occasione Bin Salman ha spiegato che l’Arabia Saudita e la regione stanno subendo molte delle problematiche ambientali, come la desertificazione — una minaccia economica — e affermato che si stima che l’inquinamento atmosferico da gas serra abbia ridotto la vita media dei cittadini di un anno e mezzo. Per questo la Saudi Green Initiative, si occuperà di aumentare la copertura vegetale, ridurre le emissioni di carbonio, combattere l’inquinamento e il degrado del suolo e preservare la vita marina.
I numeri dei progetti sono ambiziosi (per esempio di parla di 10 miliardi di alberi di nuova piantumazione solo in Arabia Saudita nei prossimi decenni, equivalente alla riabilitazione di circa 40 milioni di ettari di terre degradate). La motivazioni reali esistono dunque, ma tutto si allineain un serie di condizioni a contorno esterne e interne.
Bin Salman, così come l’erede al trono emiratino Mohammed bin Zayed, hanno più volte espresso palesemente la necessità di costruire una strategia che possa proiettare i loro paesi verso un futuro sempre meno dipendente dal petrolio. Si tratta di una diversificazione che dall’economia accede ad argomenti di carattere narrativi – per esempio, certi paesi intendono costruire delle politiche internazionali proprie, raccontandosi al mondo non più come stati-banche e petromonarchie economiciste.
In questo vediamo iniziative di mediazione su dossier internazionali, frutto anche della volontà di riallinearsi con Washington – che detesta scossoni in una regione da cui vuole ordinatamente disimpegnarsi. L’iniziativa verde assume dunque valore strategico nella ricomposizione dei rapporti con la nuova Casa Bianca, che punta come detto alla costruzione di un climax cooperativo anche con attori rivali.
Biden ha intenzione di promuovere un faccia a faccia globale (seppure in forma virtuale a causa della pandemia) con il russo Vladimir Putin e il cinese Xi Jinping (dovrebbe svolgersi il 22 aprile, in occasione della Giornata della Terra). Un passaggio in cui l’americano segna uno dei pochi terreni in cui, restando vivo lo scontro tra potenze, esistono necessità di cooperazione. Un passaggio che segna “un passo importante” verso la grande conferenza delle Nazioni Unite sul clima, la COP26, prevista per novembre a Glasgow, in Scozia, e co-presieduta dall’Italia.
I Paesi del Golfo – grandi alleati americani, non nemici della Cina, interlocutori della Russia – si allineano e sfruttano il tema e la scena internazionale per farsi promotori di questo discorso globale sul proprio territorio. Con l’Expo di Dubai che potrebbe essere usato come ulteriore piattaforma di dialogo – così come l’Italia, oltre alla partnership con il Regno Unito nel Cop26, può usare il G20, la cui direzione è frutto del passaggio di testimone dai sauditi.