Secondo fonti informate sentite dalla Reuters, il processo di riconciliazione nel Golfo sta andando avanti: Arabia Saudita ed Egitto hanno già avviato i contatti col Qatar, per recuperare gli anni (oltre tre) di blocco delle relazioni. È in corso una forma di stabilizzazione, effetto di una politica di appeasement spinta dalla nuova Casa Bianca di Joe Biden, che ha promosso diplomaticamente l’avvio delle relazioni il 5 gennaio.
Sempre stando alla Reuters, gli Emirati Arabi Uniti non hanno però messo in moto i contatti con Doha, e secondo Leonardo Bellodi, Segretario generale del Marco Polo Council e da molti anni esperto delle dinamiche dell’area MENA, la scelta di Abu Dhabi è da ricollegarsi a due ragioni: primo il peso che gli emiratini danno alle relazioni che il Qatar ha con l’Iran (relazioni d’altronde normali, visto che i due paesi condividono il più grande giacimento di gas naturale del mondo) e dei collegamenti col mondo dell’Islam politico della Fratellanza musulmana; secondo, la volontà di Mohammed bin Zayed (l’erede al trono emiratino) di portare avanti scelte autonome rispetto al dominus dell’area, ossia l’Arabia Saudita.
“Ora, nel chiederci cosa succederà – continua Bellodi con Formiche.net – mi sento di rispondere che non potrà che esserci una distensione, perché al di là di tutto Riad ha già manifestato queste volontà, e poi per ragioni di carattere economico: il blocco è costato tanto a tutti, e interrompere la diatriba è anche una necessità davanti ai processi di transizione energetica in corso, con il prezzo del petrolio che sebbene in questi giorni abbia avuto un rialzo è destinato a scontrarsi col calo della domanda”.
Se la sostenibilità economica di certe scelte è un tema fondamentale, è altrettanto vero che questioni di carattere geopolitico e strategiche possono creare problematiche: impossibile per esempio svincolare la questione della crisi-in-ricomposizione nel Golfo con il destino e le proiezioni della Turchia. Ankara è allineata con Doha nella visione dell’Islam, e Abu Dhabi da tempo la considera il nemico numero uno, come analizzato in un recente policy paper dell’Ecfr, che individua nella crisi di relazione tra i due paesi un elemento di minaccia alla stabilità dell’intera area del Medio Oriente e del Nord Africa – su cui per altro l’Ue potrebbe, con una strategia propria, giocare un ruolo di stabilizzatore, come spiegato su queste colonne da Cinzia Bianco (Ecfr).
“Ankara, per come si pone, è certamente un problema – aggiunge Bellodi – per i paesi del Golfo, ma non solo: anche per l’Europa, per gli Stati Uniti e per la Nato: basta guardare come non abbia rinunciato alla forza per difendere le proprie posizioni in Libia”. Bellodi, autore del saggio “La nuova sovranità” (Giappichelli Editore), è advisor della Libyan Investment Authority (Lia), il fondo sovrano libico, e da diversi anni traccia le dinamiche nel paese nordafricano, diventato recentemente il terreno di sfogo di quelle controversi intra-sunnite. La Turchia si è militarmente schierata sul lato della Tripolitania e del governo onusiano, e il Qatar ha finanziato l’operazione; gli Emirati Arabi (e l’Egitto e meno direttamente Arabia Saudita e Giordania) hanno sostenuto le ambizioni militari del capo dei ribelli della Cirenaica – che aveva l’ardire di di rovesciare quel governo voluto dall’Onu.
Un nuovo meccanismo diplomatico ha portato recentemente, dopo il cessate il fuoco, alla creazione di una nuova autorità esecutiva che ha l’obiettivo di riportare la Libia alle urne il 24 dicembre: è in corso una stabilizzazione, un passo in avanti o un passo di lato? “Diciamo che può sembrare un cambiamento di governance soltanto, ma sono ottimista, premesso che fare previsioni sul futuro della Libia è tanto difficile quanto prevedere a lungo termine il prezzo del petrolio”, risponde Bellodi.
La stabilizzazione del Golfo può essere un elemento di rallentamento dell’attivismo in Libia? “Sì, sia perché in effetti quell’attivismo non è stato troppo produttivo se si escludono i vantaggi ottenuti dalla Turchia, e poi perché anche qui torna un tema economico simile a quanto detto sopra: per quanto può essere sostenibile? Poi è chiaro, Ankara resta un’incognita: dovesse scegliere di non seguire posizioni più caute, allora tutti gli altri si sentirebbero legittimati a non lasciare campo libero ai turchi”.
Per Bellodi un altro importante elemento di ottimismo è il ruolo degli Stati Uniti: quello che Formiche.net ha più volte definito “l’effetto Biden” potrebbe toccare anche il dossier libico, con gli americani che passano a un coinvolgimento diplomatico maggiore dopo che per anni hanno considerato il teatro solo come un interesse per il counter-terrorism. “D’altronde – continua Bellodi – tutto si tiene e si innesca un loop: come Biden è stato un effetto positivo nell’avvio della riconciliazione del Golfo, tanto può esserlo sul quadrante libico, dove quella riconciliazione si può muovere”.
Un fattore di primaria importanza anche per l’Italia, che in Libia trova un palcoscenico che fa da test per le proprie capacità di politica estera, oltre che un dossier irrinunciabile per geografia, cultura, collegamenti.