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Emirati-Turchia, così l’Ue può stabilizzare la crisi. Parla Bianco (Ecfr)

L’European Council on Foreign Relations pubblica un policy paper sulle relazioni tra Turchia e Emirati Arabi. Un’inimicizia che si riflette in dossier europei e sul Mediterraneo, su cui Bruxelles può avere un ruolo positivo sviluppando una propria strategia

“Utili nemici”, con questa definizione le analiste dell’Ecfr Asli Aydıntaşbaş e Cinzia Bianco definiscono il rapporto tra Emirati Arabi Uniti e Turchia in un policy paper pubblicato dal think tank paneuropeo e destinato a diventare un punto di partenza per una Ue che “dovrebbe sviluppare la propria strategia per confrontare” le dinamiche in atto tra questi due Paesi. Dinamiche che partono da una rivalità via via crescente negli ultimi dieci anni e connessa anche al vacuum geopolitico prodotto dal progressivo ritiro degli Stati Uniti dalla regione, spiega Bianco a Formiche.net.

Davanti all’arretramento americano, “Abu Dhabi pensa la strategia di co-piloting, ossia ha provato a costruire nuovi rapporti con altri Paesi, come la Francia e la Russia, ma anche con gli Usa: ha offerto asset e attenzione politica, risorse finanziare e miglioramento dei collegamenti con attori locali, quando è servito sforzo militare; una strategia che ha poi applicata anche all’Arabia Saudita, e questo gli ha dato il boost definitivo”, aggiunge Bianco.

La “Piccola Sparta” (definizione coniata nel 2014 dal generale Jim Mattis, poi capo del Pentagono) ha individuato due rivali: il primo è l’Iran, nemico geopolitico-ideologico, stato paria ma preoccupazione per certi versi minore per Abu Dhabi; l’altro è la Turchia. Contro Ankara la rivalità è più forte perché riguarda quel co-piloting, la Turchia ha le potenzialità per essere il catalizzatore regionale che le potenze globali possono usare come moltiplicatore per la propria forza restando disimpegnate. Ossia Ankara può fare quello che gli emiratini vorrebbero essere.

“Su questa competizione si basa l’inizio di una comunicazione strategica e attività di lobbying focalizzata contro i turchi e i qatarini – ricostruisce l’analista dell’Ecfr – pensata per raccontare al mondo che Ankara e l’alleata Doha sono alla testa di una rete di associazioni islamiste che promuovono l’oscurantismo religioso sunnita”. Dunque non affidabili per il co-piloting: l’arrivo di Donald Trump (e lo spostamento delle relazioni tra stati al piano amicale che coinvolgeva il genero dell’americano e l’erede al trono emiratino) e di Emmanuel Macron fanno da sponda. La Francia ha avuto importanti problemi con il radicalismo armato sunnita, ha subito pesanti attentati ma soprattutto ha il problema attualissimo del separatismo islamico, che l’Eliseo ha individuato come necessità strategica da ingaggiare.

Nel frattempo, come chiaro, dall’altra parte Turchia e Qatar (con cui il Golfo, su spinta emiratina, aveva interrotto le relazioni fino a pochi mesi fa) usavano la loro contro-narrazione, mossa da media strategici come Al Jazeera. “Abu Dhabi ha usato anche recentemente situazioni come la sonda di Marte per dire che rappresenta il progresso, il futuro, mentre la Turchia è un ritorno al passato – aggiunge Bianco – e il tema comunicativo si è chiaramente aperto all’ambito geopolitico, con queste rivalità che sono finite per snodarsi nel Mediterraneo”.

È il caso della Libia, dove i due paesi hanno sostenuto le due diverse parti in guerra; o dell’East Med, dove gli Emirati hanno sposato le iniziative di Grecia e Cipro contro le rivendicazioni territoriali turche, portandosi dietro l’allenamento francese. “La Turchia si è trovata in una posizione di panico, perché ha visto che l’Europa prendeva strade contrarie, s’è sentita isolata e si è chiusa ancora di più in azioni forti e muscolari”.

In realtà, spiega Bianco all’interno dell’Ue c’è anche una divisione che vede dall’altro lato paesi come Italia, Germania e Spagna che non sono d’accordo con la linea di contrasto contro la Turchia proposta da Parigi (Atene e Nicosia), sebbene credano che Ankara debba essere contenuta. “Queste divisioni hanno diluito la capacità di leverage nei conforti della Turchia. Di più, la geopolitica europea sul Mediterraneo sta vedendo delle preoccupanti similitudini con quella mediorientale con l’avvio di dinamiche a somma zero”.

Questo secondo l’analisi dell’Ecfr blocca tutto il processo costruttivo che si poteva fare nei confronti delle relazioni tra Ue e Turchia e sulle relazioni con gli Emirati, e “anche nella politica Nato, con Abu Dhabi che era molto avanti nei processi collegati all’ICI, ma attualmente si fatica molto ad andare avanti perché la Turchia mette sempre veti”.

In tutto questo, come visto in altri dossier importanti, non si può ignorare quello che più volte Formiche.net ha definito “l’effetto Biden”: è così? “Il presidente Joe Biden ha incoraggiato la dichiarazione di al Ula (la riconciliazione Golfo/Qatar, ndr) e sta più o meno indirettamente producendo un effetto positivo sul dialogo Turchia-Egitto; ritengono possibile che possa anche fare qualcosa in più sulla ripresa dei rapporti tra Riad e Ankara, però nel caso di Turchia e Uae quello che vedo è il rischio che ci sia solo una pausa strategica”, risponde Bianco.

Com’è possibile evitare questo rischio? “Credo che serva una strategia europea che separi le relazioni con Ankara da questioni che riguardano gli Emirati; serve un consenso europeo, un compromesso tra la necessità di offrire garanzie di sicurezza reali ad Atene, spinta da Parigi, e quella di non rompere con la Turchia, guidata da Berlino. L’Italia potrebbe fare da ponte, assieme alla Spagna. E poi si potrebbe guardare alla Nato come piattaforma di deconfliction, permettendo un’accettazione di rivalità in cui si definiscono linee rosse molto chiare per evitare escalation”.

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