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Too little, too late. I dubbi degli esperti sul piano digitale Ue 2030

A una settimana dalla presentazione del piano europeo per il digitale, gli esperti di tecnologia si interrogano. Bene la ricerca di alleanze internazionali, male l’ambizione e gli orizzonti. Nel 2030 non si parlerà più di 5G ma di 6G e l’Ue…

“L’Europa può essere un leader digitale globale. Abbiamo l’innovazione, abbiamo i talenti. E con il Next Generation EU, ora abbiamo le risorse”. Così la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen presentava la scorsa settimana il 2030 Digital Compass, il programma dell’Unione europea per una maggiore autonomia digitale: tra gli obiettivi, come sottolineavamo su Formiche.net, produrre il primo computer quantistico in cinque anni e un quinto dei semiconduttori al mondo entro il 2030 (lo stesso orizzonte che i 27 si sono dati per alcuni obiettivi climatici come la riduzione delle emissioni del 55%).

Il progetto presenta almeno due difficoltà. La prima riguarda i fondi: non ci sono stanziamenti extra, il piano è sostenuto con i 672,5 miliardi di euro del Recovery fund (il 20% dei quali gli Stati sono chiamati a investire nel digitale). Dunque, la Commissione europea può offrire un soltanto indirizzo – una bussola, appunto – senza però poter davvero incidere attivamente. Il suo elemento – già rivelato su queste pagine – riguarda l’interesse delle aziende al progetto. A proposito dell’ambizione a diventare potenza globale nei semiconduttori, la commissaria Margethe Vestager la scorsa settimana in conferenza stampa non aveva  dato una risposta precisa a una domanda sul possibile coinvolgimento di aziende come Samsung e Tsmc, rivelato alcune settimane fa da Bloomberg.

Ma anche negli Stati Uniti è emersa qualche perplessità sul piano europeo. Il primo dubbio riguarda l’orizzonte 2030 per il 5G: per l’associazione degli operatori di rete mobile “il 5G coprirà un terzo della popolazione mondiale già entro il 2025. Nel 2030, gareggeremo per il 6G”, evidenzia su Twitter Lindsay Gorman, Emerging Technologies Fellow presso l’Alliance for Securing Democracy al German Marshall Fund (progetto che era guidato fino a poco fa da Laura Rosenberger, chiamata alla Casa Bianca dal presidente statunitense Joe Biden per guidare il desk Cina al Consiglio per la sicurezza nazionale).

“Al contrario, un aumento significativo nella produzione di semiconduttori” è “decisamente più ambizioso e dovrà essere sostenuto economicamente per essere realizzabile”, aggiunge confermando indirettamente le difficoltà rivelate da Formiche.net. “Le aree più promettenti coinvolgono partenariati multinazionali in 6G, quantum computing e l’utilizzo della tecnologia per combattere il cambiamento climatico. Ma anche queste dovranno essere sostenute da vere iniziative di commercializzazione per essere serie”, conclude. Rebecca Arcesati, analista del Merics e tra gli autori di uno dei primi rapporti sull’alleanza tech tra democrazie, sottolinea lo stesso elemento: “È bello vedere un’enfasi così forte sui partenariati internazionali con le democrazie in tutto il mondo”.

Kristine Berzina, Senior Fellow dell’Alliance for Securing Democracy, oltre a evidenziare il ritardo su 5G/6G, aggiunge sempre su Twitter: “Sarà molto difficile raggiungere l’obiettivo di produrre il 20% di semiconduttori entro il 2030. Avere obiettivi di base più ambiziosi, raggiungerli più rapidamente, aiuterebbe l’Europa a fare grandi cose”.

Tyson Barker, che guida la sezione Head, Technology and Global Affairs al Geman Council on Foreign Relations, ha aggiunto una elemento di fragilità alla scarsa ambizione (“forse i semiconduttori sono un’eccezione”): “niente sulle ricadute civ-mil”. Ulrike Franke, Senior Policy Fellow all’Ecfr, ha dedicato al documento un lungo thread su Twitter e ha concluso: “Penso che tutto questo sia ancora molto generico”.

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