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Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft: i nuovi nemici di Erdogan?

Ankara ha messo nel mirino i cinque big, sostenendo che la loro influenza sarebbe stata decisiva in occasione delle rivolte di Gezi Park. Ora Erdogan vuole creare la versione turca dei giganti della Silicon Valley

Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft fanno “dittatura informatica” e si considerano “al di sopra della legge”. Questa la posizione del governo turco che ha deciso di intaprendere una nuova crociata contro i cosiddetti GAFAM, dopo quella contro Santa Sofia patrimonio Unesco (trasformata in moschea), omosessuali, tinte per capelli e minoranze. Una mossa che segna un altro passo indietro da parte di Recep Tayyip Erdoğan nella sfera dei diritti e delle libertà individuali e di impresa.

CROCIATA

La presidenza turca ha annunciato che il paese sta provando a costruire equivalenti nazionali dei cinque grandi player tecnologici Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft, sottolineando l’importanza di archiviare dati online in Turchia. “Il mondo è più grande di GAFAM”, ha raccontato ai media Ali Taha Koç, capo dell’ufficio della presidenza turca per il cambiamento digitale, utilizzando l’acronimo dei cinque principali giganti della tecnologia. Erdogan ha più volte accusato le piattaforme di “dittatura informatica” e considerandosi “al di sopra della legge”. In uno dei frequenti comizi che settimanalmente il presidente tiene davanti ai parlamentari del suo partito

ha detto che governo turco non consentirà la propaganda del terrorismo nel mondo cibernetico, aggiungendo che le società di social media sono diventate obbedienti dopo essere state multate dalla Turchia per il mancato rispetto di una legge sui social media approvata quest’estate. “Vedi come sono diventati obbedienti ora che le multe vengono distribuite?”, ha detto Erdoğan. “Pagherai (multe qui), proprio come fai in Occidente”.

Nel novembre scorso la Turchia ha multato big come Facebook, Twitter e YouTube per 1,18 milioni di dollari ciascuna per aver violato la nuova legge.

DA GEZI A BOĞAZIÇI

Erdogan ha messo nel mirino i cinque big, sostenendo che la loro influenza sarebbe stata decisiva in occasione delle rivolte di Gezi Park, quando tra il maggio e l’agosto 2013 migliaia di studenti e cittadini scesero in piazza, inizialmente contro la costruzione di un centro commerciale al posto del parco di Gezi a Istanbul, ma in seguito diventando un simbolo di contrasto alle repressioni del governo Erdoğan. Le proteste finirono nel sangue, con morti, feriti e arresti: il mondo ne venne a conoscenza proprio grazie alla rapidità con cui i social diffusero video e foto postati dai manifestanti, epitetati però dal governo “terroristi” e “saccheggiatori” nel tentativo di respingere le loro legittime preoccupazioni sulla privatizzazione degli spazi pubblici e sulla corruzione del governo. I social sono nuovamente stati messi nel mirino perché il governo teme che possano replicare lo schema Gezi Park anche nelle proteste di Boğaziçi (cosa che si è già verificata). Come è noto, da più di un mese studenti e studentesse dell’università del Bosforo, simbolo del mondo accademico laico della Turchia, contestano la nomina imposta con un decreto dal presidente Erdogan.

La nuova crociata 2021 di Erdogan arriva in concomitanza con la diffusione dell’ultimo Rapporto sulla trasparenza di Twitter: la Turchia nel primo semestre del 2020, si legge, ha favorito la censura di Twitter in numerose categorie.

PRECEDENTI

I cinque GAFAM “attenzionati” dal governo turco sono in buona compagnia. Un anno fa la Corte costituzionale turca ha deciso di sbloccare Wikipedia nel paese, dopo che la Wikimedia Foundation si era rivolta alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Il motivo? I media filogovernativi turchi continuano ad accusare di vari crimini la nota enciclopedia online.

E ancora: il presidente turco ha un rapporto difficile con gli sportivi, attori di teatro, musicisti oltre che con libere scelte stilistiche come tinte e taglio di capelli. Per il 27enne stella dell’Nba, Enes Kanter, è stata chiesta l’estradizione dal procuratore generale di Istanbul. La sua colpa è stata quella di esere un anti erdoganiano convinto, così come dimostrano alcuni tweet rivolto al sultano: “Io non ho paura di te”.

Contro il giocatore di basket, che dal 2009 vive negli Stati Uniti, anche l’iscrizione in un speciale lista internazionale dell’Interpol come un qualsiasi criminale o un jihadista dell’Isis. Il sostegno di Kanter al predicatore statunitense Fethullah Gülen, che la Turchia ha accusato del golpe di cinque anni fa, è stato decisivo. L’ex attaccante di Inter e Parma, Hakan Sukur, è stato eliminato dagli annali del Galatasaray per il suo appoggio a Gülen, oltre che essere ricercato per il fallito golpe.

L’attrice Deniz Cakir è diventata un bersaglio di Erdogan dopo aver preso parte a una mobilitazione contro donne che indossano il velo. Altri due attori molto noti nel paese, Müjdat Gezen, 76 anni, e Metin Akpinar, di 78 sono stati epitetati come “aspiranti artisti” e attenzionati con un’inchiesta ufficiale per “diffamazione del presidente, minaccia di rivolta e omicidio”. Dopo l’interrogatorio i due attori sono stati rilasciati, ma non è permesso loro di lasciare la Turchia.

Nell’occhio del ciclone anche il Turkish State Theatres, dove dalla stagione 2016-2017 sono stati cassati autori non turchi come Shakespeare, Anton Cechov, Bertolt Brecht, e Dario Fo per far posto a volti e testi rigorosamente locali. Dulcis in fondo la fatwa contro la tinta: la Direzione per gli affari religiosi della Turchia (Diyanet), la massima autorità islamica del Paese, ha decretato che «tingersi i capelli, la barba o i baffi è permesso solo se lo scopo non è quello di ingannare. Ma tingersi i capelli di nero per un uomo non è mai ammissibile. È ritenuto inappropriato».

twitter@FDepalo


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