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Il business italiano torna a Tripoli? Storia e numeri delle relazioni Italia-Libia

Tripoli chiama Roma. Il nuovo premier eletto dal Foro onusiano invita le aziende italiane a considerare la Libia la “loro casa”. Askanews ricostruisce la storia e lo stato attuale delle relazioni business tra i due Paesi

“Ho intenzione di riaprire al più presto agli investitori e alle ditte italiane”, ha detto in un’intervista al CorSera il nuovo premier libico Abdulhamid Dabaida, ricordando come dalla industria energetica alle infrastrutture, dalla rete elettrica al comparto sanitario la Libia ha “urgente necessità” di recuperare i lunghi anni di guerra e spingere il processo di stabilizzazione in corso.

“Vorrei [che gli italiani] considerassero la Libia come casa loro e non solo un business”, ha detto il premier, che nel suo primo contatto con un leader occidentale ha ospitato a Tripoli il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, accompagnato da una delegazione di cui faceva parte anche l’ad di Eni, Claudio Descalzi. A rilevare come dietro l’impegno diplomatico italiano si snodino elementi geostrategici e geoeconomici.

La storia degli investimenti italiani recenti in Libia, come ripercorre Askanews in un approfondimento, è ricca e importante. L’agenzia diretta da Paolo Mazzanti parte da prima della rivoluzione del 2011, quando secondo i dati del ministero degli Esteri “operavano in Libia oltre 100 aziende italiane”.

I settori più presidiati sono quelli delle costruzioni, dell’energia, in particolare il petrolio, dell’impiantistica industriale, delle infrastrutture. Quando si parla di Italia in Libia, i nomi che ricorrono sono Eni appunto, che dal 1959 è presente nel Paese e opera in joint venture con la National Oil Corporation (Noc); la società non ha mai sospeso le sue attività durante i mesi dell’ultimo assalto a Tripoli ternato dai ribelli dell’Est.

Poi c’è Iveco, che lavora in Libia in coordinamento con il ministero dell’Industria per la produzione di autocarri e autobus; Agusta Westland-Finmeccanica (che detiene il 50% del capitale della LIATEC, l’azienda che assembla elicotteri), e ancora Saipem (che recentemente si è aggiudicata l’appalto per la costruzione di un centro tecnico petrolifero a Bengasi su assegnazione da parte della Noc). E ancora: Salini-Impregilo (ossia Webuild), Con.I.Cos, Bonatti, Italcementi, Dietsmann, Ferretti International, Danieli e Sirti, elenca ancora il ministero nella sua scheda Paese.

Dopo il 2011, però, solo una parte di queste è rimasto attivo sul complicato suolo libico. Chiaro che le condizioni di sicurezza sono state un fattore – parte del territorio era stato anche occupato dallo Stato islamico – oltre che le divisioni interne. Il percorso onusiano verso la riunificazione cambia le carte in tavola. Il linguaggio sembra cambiato e tornano alla mente i principali progetti, rievocati dallo stesso premier, che riguardano le infrastrutture del Paese, spiega Askanews.

Infrastrutture che contribuiranno alla ripresa dell’economia e alla ricostruzione della società. “Con Draghi esamineremo quali aziende importanti italiane vorremo facilitare. Penso per esempio a grandi gruppi, come Salini Impregilo, con cui abbiamo in trattativa un contratto per oltre un miliardo di dollari”, ha detto Dbeibah, parlando della visita del 6 aprile quando il presidente del Consiglio, Mario Draghi, sarà a Tripoli.

Torna d’attualità il progetto dell’ Autostrada della pace”, evocato recentemente anche da Di Maio, parte degli accordi firmati nel 2008 dall’ex premier Silvio Berlusconi e da Muammar Gheddafi. Tra i “progetti infrastrutturali di base” del valore di cinque miliardi di dollari come risarcimento per i danni causati dall’Italia durante il periodo coloniale anche i 1.750 chilometri di autostrada a quattro corsie che collegherebbero il confine con la Tunisia a quello con l’Egitto, sostituendo la litoranea costruita durante il fascismo, via Balbia, e intitolata a Italo Balbo, all’epoca governatore della Libia.

In questo progetto, precisa Askanews, Webuild si era aggiudicata nel 2013 una primo tratto da 440 chilometri per 960 milioni di euro, ma tutto è ancora fermo.

Il premier libico ha poi rinnovato l’invito ad Alitalia a riaprire le rotte, ma su questo fronte resta aperto un altro capitolo che coinvolge imprese italiane, quello del nuovo
aeroporto di Tripoli. La gara d’appalto era stata vinta nel 2017 dal consorzio di imprese italiane Aeneas, costituito dalla società di consulenza e progettazione ingegneristica Two-Seven, dalla società specializzata nel settore della sicurezza Axitea, dalla società di costruzioni Nuct Aviation, dalla società di consulenza Lion Consulting e dall`impresa di costruzioni Ing. Orfeo Mazzitelli.

Il progetto ha un costo stimato di 79 milioni di euro e prevede la realizzazione di due terminal passeggeri, uno per voli nazionali e uno per voli internazionali, per l’accoglienza di 4,5 milioni di passeggeri all’anno. Da allora si è mosso poco o nulla, anche per via della guerra. Un’altra opera di trasporto che vede la partecipazione di un’azienda italiana è l’aeroporto di Tobruk, nell’Est della Libia. La General Work Libya, controllata della italiana General Work Company, ha avviato a ottobre 2020 i lavori per il terminal passeggeri.

Stando ai dati del 2017 ricordati dall’agenzia stampa italiana, la Libia era il quinto partner commerciale dell’Italia in Africa e il secondo fornitore. L’interscambio nel 2017 aveva fatto registrare 3,8 miliardi, con un incremento del 36 per cento rispetto al 2016, principalmente per le importazioni di petrolio. Evidente allora quanto il settore energetico resti centrale nei rapporti italo-libici, come dimostrato dal messaggio lasciato recentemente da Descalzi, che ha assicurato che l’Eni resterà vicina ai libici in questo momento delicato.


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